Entrare in empatia nelle relazioni fin da piccoli

Comunicare è una spinta innata di ogni essere vivente. Anche i cuccioli dell’uomo non fanno eccezione, comunicano con i loro genitori fin dal grembo materno.

Come comunicano i bambini?

Nella prima e seconda infanzia i bambini possiedono un’intelligenza senso motoria ossia imparano e comunicano attraverso il corpo, i sensi e il movimento. L’ emisfero destro del cervello, quello adibito alle sensazioni fisiche e alle emozioni primarie è attivo fin dalla vita pre-natale. Già appena nato un bambino piange e prova dolore fisico quando ha fame o ha freddo. Inoltre sente la paura, lo spavento e la frustrazione quando ad esempio è lasciato solo, oppure prova appagamento, pace e serenità quando le persone che si prendono cura di lui sono in grado di empatizzare con quello di cui ha bisogno. Questo tipo di comunicazione che avviene fin dagli albori della nascita è scritta nei nostri geni di esseri umani e si fonda su una sottile rete di segnali non verbali e di connessione emotiva con l’altro. Invece le competenze della comunicazione verbale, del ragionamento logico, delle capacità di valutare che si trovano nell’emisfero sinistro hanno bisogno di più anni per svilupparsi. Per questo motivo più il bambino è piccolo e più non può capirci se usiamo con lui una connessione fatta solo di elementi logici e verbali.

Ecco un esempio: “Ti ho appena allattato, non puoi avere fame, devi imparare ad aspettare!” Questo sfogo materno potrebbe essere l’espressione di una madre che non crede al bambino e al suo bisogno di stare in contatto con la sua pelle, il suo seno e il suo cuore ma sta ragionando, giudicando il bambino esigente o magari giudica se stessa come inadeguata nel non riuscire ad insegnare al bambino ad aspettare. Scoprirà nel suo percorso di mamma che non c’è proprio nulla che non va in lei o nel suo bambino. E’ che ci siamo dimenticati di quando eravamo piccoli e bisognosi di amore e contatto fisico. Se invece ci sintonizzeremo sui canali emotivi gradualmente la madre comprenderà i sentimenti del bambino e il bambino sentirà le emozioni di sua madre.

Per questo motivo la prima empatia che come genitori che possiamo stabilire è con noi stessi. Che cosa provo in questo momento? Mi sto giudicando? Mi ritorna alla mente cosa mi diceva mia suocera? Sto giudicando il bambino? Questi pensieri mi stanno aiutando nella relazione? In fondo, se vogliamo donare ai bambini l’amore, il rispetto e l’empatia se non impariamo per prime noi a farlo con noi stessi, come potremo mostrarlo? Se non ci prendiamo cura dei nostri pensieri, quello che pensiamo verrà fuori lo stesso, dal tono della voce, dal contatto fisico, dallo sguardo e dal tatto.

Che cosa allora possiamo fare per entrare in empatia

  • Sospendere il giudizio imparando ad accettare quel che c’è dentro di noi e nei nostri figli così com’è. Se per prime noi ci accettiamo con le nostre fatiche e vulnerabilità e le nostre gioie e soddisfazioni sarà più facile farlo anche con i nostri figli. E’ partendo dall’accettazione dei propri limiti o delle proprie emozioni che possiamo scegliere di fare diversamente.
  • Accrescere la fiducia nelle nostre competenze di genitori e la fiducia che ogni relazione madre e bambino ha tempi e modi differenti per crescere.
  • Promuovere delle relazioni fondate sul rispetto reciproco indipendentemente dal fatto che si è piccoli o grandi. Ognuno esprime i suoi bisogni così come è in grado di farlo. La relazione è una danza che c’è e che sa, lasciamoci guidare da quello che sentiamo dentro guardando il nostro bambino.
  • Creare un clima accogliente ed empatico. Diamo l’esempio Daniel Goleman afferma che le esperienze di empatia o di non empatia nella prima infanzia influenzano enormemente il nostro cervello, egli ribadisce che impariamo l’empatia dalle persone che si sono prese cura di noi.
  • Favorire il contatto. Il tatto è il senso che si sviluppa per primo fin dalla vita prenatale e appena si nasce si ha un estremo bisogno di sentirci toccati, abbracciati, cullati e massaggiati e attraverso il corpo che il bambino sa e sente qual’e l’atteggiamento con il quale ci relazioniamo a lui o lei. Moltissimi studi hanno convalidato l’importanza di esperienze di contatto e di vicinanza fisica fin dalla prima infanzia, esse sono fondamentali per creare quella “base sicura”(John Bowlby 1969) che ci sarà di esempio in tutte le relazioni future.
  • Non ostacolare l’autonomia e l’autostima. Nella relazione con il bambino assicuriamoci di rispettarlo come persona che ha sentimenti e bisogni, che si esprimono attraverso il corpo, se rimaniamo in ascolto, è il bambino che ci mostrerà fin da subito cosa gradisce e cosa no. I no del bambino sono importanti segnali, non espressione di un capriccio, vogliono sempre comunicarci qualcosa. Ascoltare i suoi limiti, prenderli seriamente in considerazione, vuol dire dare importanza all’autonomia e all’autostima, perché fin da subito gli è stata data la possibilità di poterla esercitare.

Alla luce di queste riflessioni, entrare in empatia fin da piccolissimi vuol dire allora comunicare attraverso un linguaggio non verbale: “Ti voglio bene, sono qui con te e ti ascolto”.

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia:

Daniel Goleman. Intelligenza emotiva: che cos’è e perché può renderci felici. Rizzoli. Milano 1997.

Daniel J. Sigel, Tina Payne Bryson. 12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino. Raffaello Cortina Editore. Milano 2012

Giuditta Mastrototaro. Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Streetlib. Milano 2015.

John Bowlby. Una base sicura. Raffella Cortina Editore. Milano 1989

Vimala Mc Claure. Il massaggio del bambino: massaggio d’amore. Bonomi Editore. Pavia 2000