I giochi vanno condivisi?

Spesso nelle convinzioni dei genitori e degli educatori vi è quella che i bambini devono imparare a condividere i giochi. Si chiede ai bambini anche molto piccoli nella fascia 0-3 anni che siano generosi, rispettosi degli altri e cooperativi.

Inoltre i genitori sentono un senso di disagio quando i propri figli sono strattonati perché un altro bambino gli prende un gioco, ma non vivono bene neanche i genitori dei figli “strattonatori” perché entrambi tendono a giudicare in modo negativo i comportamenti troppo “deboli” o troppo “forti” dei loro bambini.

Intanto occorre sgombrare il campo dai giudizi. Quando un bambino prende un gioco dalle mani di un altro, non è “maleducato” e il genitore non è una persona che non ha educato alle buone maniere il figlio. Questi pensieri o luoghi comuni possono contribuire a creare situazioni di disagio tra genitori ma anche con i propri figli.

In realtà, il bambino è naturalmente predisposto a incontrare le esigenze degli altri ben prima che i genitori vogliano insegnarglielo perché è scritto nella sua genetica, tutti gli esseri umani portano dentro di sè i valori della comprensione e dell’empatia come dimostrano anche gli studi svolti dallo psicologo statunitense M. Tomasello nel suo libro Altruisti nati.

E’ innato anche il senso di protezione e di esplorazione. Ogni bambino desidera proteggere il proprio ambiente che si tratti di oggetti o persone per questo dice spesso: “mio”. Inoltre è interessato a esplorare tutto ciò che lo circonda, anche se è il gioco si trova tra le mani del suo compagno, semplicemente perché suscita in lui un senso d’interesse.

Tutti questi bisogni di empatia, di protezione e di esplorazione sono elementi di una persona sana. La vita è un processo di apprendimento che non finisce mai, anche quando si è adulti, si ha bisogno di proteggersi, di empatizzare con noi stessi e con gli altri e di esplorare nuove possibilità. Non c’è niente che non va in questo, anzi sono processi evolutivi che strutturano la nostra identità.

E’ chiaro che quando si è adulti si trovano strategie socialmente accettate per esprimere i propri bisogni, quando invece si è piccoli, non si ha questa consapevolezza e si passa dal pensiero all’azione.

Infatti, i bambini quanto più sono piccoli, tanto più non hanno la capacità di leggere il contesto o di rispondervi al meglio a causa di una immaturità celebrale, non educativa.

In sostanza, il cervello di un bambino, come ci insegna il neuropsicologo Alvaro Bilbao nel suo libro Il cervello spiegato ai genitori, è spesso dominato dalla parte inferiore quella rettiliana che non avendo accumulato sufficiente esperienza per interpretare correttamente i segnali del suo ambiente, facilmente reagisce con l’attacco o la fuga, con l’accrescere delle sue esperienze e immerso in un ambiente rassicurante, il bambino svilupperà sempre più un’ampia gamma di risposte adattive. Queste risposte negli esseri umani derivano dal passaggio delle informazioni nella parte superiore del cervello, sede del ragionamento, consapevolezza ed empatia che trasforma un atteggiamento reattivo in un atteggiamento prosociale, collaborativo e cooperativo.

Il bambino si sviluppa attraverso un processo di differenziazione che lo porta alla costruzione del suo Sé, che non ha niente a che vedere con un atteggiamento egoistico. Semplicemente è una fase evolutiva che ha bisogno di attraversare che passa dall’“io” e al ” tu” dal “mio” al “tuo” per differenza.

Sentire di avere una qualche forma di controllo nella propria vita è qualcosa di rassicurante per tutti: bambini e adulti. Favorire un ambiente in cui il bambino possa ritrovare i suoi oggetti, gli spazi sono ordinati a sua misura e possa concentrarsi nel fare e rifare le stesse azioni per capirne i meccanismi, vuol dire lasciarlo sostare nella “fase dell’ordine” come la chiamava Maria Montessori. Un processo evolutivo molto importante, che favorisce l’attivazione di nuovi circuiti neuronali che passano nella parte superiore del cervello e quindi si aprono alla cooperazione con il proprio ambiente fatto di cose e persone.

Per questa ragione è bene che anche in famiglia ogni bambino abbia un posto tutto suo in cui poter tenere i propri giochi e sapere dove riporli e ritrovarli. Alcuni genitori hanno trovato utile consentire ai bambini più grandi di avere un posto difficile da aprire o da raggiungere dagli altri fratelli più piccoli, per preservare i propri giochi e per prevenire eventuali contese.

Oltre alla cura dell’ambiente, un altro elemento fondamentale è la figura dell’adulto che si pone da facilitatore della comunicazione verbale e non verbale. Ad esempio se vediamo che due bambini si contendono un gioco invece di forzare la condivisione. “Forza dai il gioco a Giovanni, tocca a lui!” occorre invece sostare nel momento della contesa, per narrare cosa sta accadendo visibilmente e interiormente. “Vedo che entrambi volete il trenino. Luigi lo tiene stretto mentre Matteo cerca di prenderlo. Entrambi volete giocarci. Luigi ti va di prestarglielo? Questo molte volte porta a condividere e a collaborare, altre volte invece Luigi dice di no e allora l’adulto spiega ciò che sta accadendo. “Luigi ha ancora bisogno di giocarci. Quando ha finito, te lo dà. Va bene Matteo? Se Matteo sembra dispiaciuto è bene esprimerlo e cercare insieme a lui un’alternativa al trenino. Ad esempio: ” Matteo cosa ne dici di cercare un altro trenino che ti piace?”. Di solito se mostriamo rispetto ed empatia per i bambini, anche loro impareranno a fare lo stesso.

Sostanzialmente si tratta di rendere visibili i pensieri, i sentimenti e i bisogni dei bambini perché possano ascoltarli e comprenderli senza sentirsi minacciati dalle intenzioni altrui.

Infatti, quanto più il bambino si sente sicuro nel suo ambiente perché nessuno lo sta forzando a fare cose differenti da quelle che sente, tanto più può aprirsi al punto di vista dell’altro e a una più proficua relazione cooperativa. Questo non ha niente a che vedere con giudizi moralistici tipici degli adulti. Infatti un adulto potrebbe pensare che non sia giusto per Matteo rinunciare al gioco per lungo tempo. In realtà questi ragionamenti di giusto o sbagliato non appartengono ai bambini. I bambini sono molto più semplici e capaci di imparare da qualunque esperienza.

In questo caso il bambino che non ottiene ciò che desidera, attiverà le sue competenze di problem solving, ossia cercherà soluzioni alternative e il ruolo dell’adulto può essere quello di facilitare questo processo offrendo possibilità di scelte.

Saper ascoltare i sentimenti e i bisogni di entambi i bambini, vuol dire coltivare fiducia nelle loro capacità, di saper trovare le proprie soluzioni, di rispetto per i propri tempi, di tolleranza alle frustrazioni e di empatia.

L’educazione è un processo evolutivo, come educatori e genitori non dobbiamo guardare ai risultati immediati, ne metterci nella posizione dei giudici nelle dispute tra bambini, perché nelle relazioni si vince o si perde tutti. Occorre per questa ragione avere uno sguardo lungimirante che possa investire fiducia proprio in quel bambino che mostra più difficoltà alla condivisione, perché il suo progresso rappresenti per lui e per gli altri bambini, fratelli o sorelle un successo educativo a lungo termine di cui tutti potranno beneficiarne.

Non può esserci autonomia senza che prima non sia stato soddisfatto il bisogno di dipendenza diceva Winnicott, allo stesso modo non può esserci empatia, cooperazione, generosità se non ci si sente sicuri e liberi di sceglierla

Anche se ancora non è accaduto che il tuo bambino abbia condiviso i propri giochi, questo non vuol dire che è un prepotente o i genitori non stiano educando il proprio figlio a valori della gentilezza.  Vuol dire solo che quel bambino sta ancora costruendo la sicurezza in se stesso, prima di essere in grado di poter offrire cooperazione a un altro bambino. Quanto più forziamo queste naturali tappe evolutive, tanto più creiamo resistenza. Rischiamo di aumentare il conflitto e alimentare proprio quei comportamenti che non ci piacciono nei nostri figli.

Allora è tempo di cambiare paradigma e di guardare ai bambini non come dei piccoli adulti, ma come a teneri germogli che hanno ancora molto potenziale da condividere con il mondo intero, basta non ostacolare questo naturale passaggio di vita e dargli il tempo per esprimerlo al meglio.

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia

Alvaro Bilbao. Il cervello del bambino spiegato ai genitori. Salvani editore. Firenze, 2017

Donald W. Winnicott. Sviluppo affettivo e ambiente. Armando Editore. Milano, 2015

Giuditta G. Mastrototaro. Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. SteetLib Milano, 2015.

Michael Tomasello. Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli. Bollati Boringhieri. Torino, 2010.

Maria Montessori. Il segreto dell’infanzia. Garzanti editore. Milano, 2011