La relazione di coppia con la nascita di uno o più bambini


Quando cambiamo il nostro modo di vedere le cose, le cose che vediamo cambiano.

Prima di avere un bambino non si può immaginare quanto cambi la relazione di coppia e la nostra vita, dopo la nascita di nostro figlio tutto ci sembra stravolto: le nostre priorità, le nostre preoccupazioni e le nostre gioie. Siamo irriconoscibili anche a noi stessi.

Una mamma mi racconta: “Oggi sono uscita di casa e sembravo una sfollata dopo un terremoto, avevo in braccio le mie due gemelle, indossavo una tuta sporca di rigurgito e portavo una massa non ben definita di capelli raccolti. Come sento lontani i giorni in cui indossavo la giacca, la gonna e le scarpe col tacco per andare in ufficio e la casa era pulita. Prima di avere le mie figlie io e mio marito eravamo una coppia perfetta, ora lo guardo e mi chiedo: Perchè non riesce a capire quanto sono stanca e invece sento che mi critica in continuazione? Alla sera viene a casa e quando cerco conforto riguardo a com’è stata faticosa la mia giornata con le mie due gemelle, lui mi dice che le vizio troppo”.

Sarebbe bello per un momento immaginare che tutto fosse più facile, la mamma con le due gemelle serena e appagata, il papà accogliente e contento.

Spesso la realtà è molto differente dalle nostre aspettative. Quando desideriamo comunicare al nostro patner il desiderio di essere comprese, può succedere che a lui non arrivi questo messaggio, ma potrebbe pensare che ci sia qualcosa che non va, qualcosa da aggiustare, ecco allora che mettendosi in questa ottica, il papà fa tutto il suo meglio per trovare “il guasto” e quindi ricercare la soluzione: “le stai viziando, occupandoti troppo di loro”ed invece la madre senta una critica. Può darsi che questo papà sia animato dal sincero desiderio di contribuire ad aiutare la sua compagna. Ciò che arriva a lei è invece l’insoddisfazione di non sentirsi ascoltata, compresa, riconosciuta per tutto quello che fa per le sue bambine.

Sfatiamo alcuni miti:

Mito 1. Dare empatia al proprio compagno o compagna non vuol dire trovare per lui o per lei una soluzione alle fatiche che sta incontrando.

A volte basta un ascolto partecipato del vissuto dell’altra persona come: “Ti vedo proprio stanca. Oggi è stata una giornata faticosa.” per aprire la comunicazione e dare all’altro la possibilità anche solo di esprimere quello che è successo durante la giornata. Solo dopo averlo o averla ascoltata e se sentiamo che l’altro ha bisogno di aiuto, possiamo chiedere cosa fare per lei o per lui nel concreto. Questo è meglio che dare una nostra soluzione semplice e rapida lì lì sul momento.

Mito 2. Non possiamo pretendere che l’altro sia come vogliamo noi.

Quando ci immobilizziamo su come lui o lei dovrebbero essere non stiamo ascoltando, ci stiamo allontanando dal cuore dell’altro ma siamo nella nostra testa, nel nostro ego e nel giudizio.

Allora cosa possiamo fare?

Se per un momento potessimo entrare nelle “scarpe” dell’altro, forse scopriremmo che i suoi bisogni non sono molto distanti dai nostri. Ogni papà ed ogni mamma sta facendo del suo meglio per contribuire alla propria famiglia anche se lo fa in modi che non rispondono alle nostre aspettative. Se ciò capita troppo spesso occorre forse rendere la comunicazione più chiara facendo una richiesta concreta e positiva. “Ascolta Umberto ho bisogno di prendermi un momento per me e farmi una doccia con calma, per favore puoi tenermi le bambine per almento 20 minuti?”

Provare a cambiare le nostre domande può aiutarci a cambiare le nostre risposte. Proviamo a chiederci: “Possiamo donare empatia a noi stesse, riconoscendo i nostri bisogni e prendendocene cura? Possiamo fermare un momento quello spazio tra il nostro ascolto e le nostre interpretazioni sull’altro? Possiamo impegnarci a scoprire, con autentica curiosità, le buone ragioni per cui l’altro fa quello che fa e dice quello che dice?”. Trovare un momento per chiederci tutto questo, potrebbe aiutarci a non arenarci nelle stesse risposte e nelle stesse deduzioni sull’altro.

Prenderci cura di noi stesse. Non si può riempire neanche una tazza in più se la teiera è vuota. Per riempire la nostra teiera è utile prenderci cura di noi stesse, donandoci qualche momento ogni giorno per riconoscerci tutte le buone ragioni per cui ogni giorno scegliamo di occuparci con amore dei nostri figli e di noi stesse.

Provare gratitutidine per tutte le persone piccole o grandi che ci amano. Almeno una volta al giorno proviamo a riconoscere con gratitutidine tutto ciò che già abbiamo,  piuttosto che concentrarci su ciò che ci manca. Chissà se la gratitutidine e la compassione non possano aprirci ad ascoltare in modo diverso gli intoppi della giornata con i bambini oppure ciò che l’altro ci dice con il suo cuore più che con le sue parole.

Giuditta Mastrototaro

 

 Bibliografia per chi desidera approfondire:

Giuditta Mastrototaro, Nascere e Crescere alla luce dell’educazione empatica, Narcissus, Milano 2015

Gary Chapman, I cinque linguaggi dell’amore, Elledici, Torino 2008

Marshal B. Roseneberg, Preferisci avere ragione o essere felice? Edizione esserci, Reggio Emilia 2009