L’empatia e i processi di apprendimento

Qual è la relazione fra empatia e processi di apprendimento?

Come l’empatia può favorire le relazioni apprenditive?

Empatizzare con i bambini o i ragazzi può essere una risorsa?

L’empatia è una competenze che ogni insegnante, genitore potrebbe coltivare per prendere le distanze dall’ansia da prestazione che i programmi, le classificazioni, le valutazioni  e gli obiettivi possono indurci a creare dentro di noi adulti ma che poi si leggono anche nei bambini.

L’empatia invece colora di sentimenti e di umanità l’apprendimento/insegnamento perché parte dal bambino che abbiamo davanti e non da una visione astratta di bambino.  Ecco alcuni spunti che possiamo tener presente per facilitare i processi apprenditivi.

Facciamoci guidare dal bambino. Come facciamo noi adulti a sapere quando un bambino è pronto per apprendere una certa competenza? E’ forse compito degli adulti quello di cadenzare gli apprendimenti in base a schemi rigidi? Direi proprio di no. Ogni persona grande o piccola che sia è in un continuo processo di apprendimento. Noi tutti impariamo dall’ambiente che ci circonda, dalle esperienze che facciamo, dalle persone che vivono accanto a noi. Un educatore rispettoso del processo di apprendimento lo facilita ed è attento a cogliere la guida interiore che spinge il bambino a fare esperienza e a essere curioso del mondo che lo circonda. Allora l’apprendimento diventa guidato dal bambino proprio nel senso in cui intendeva Maria Montessori quando affermava che la maestra doveva stare dietro il bambino e non davanti a lui e rispettare i suoi tempi.

Smettiamo di classificare. Il più importante contributo che la pedagogia basata sull’empatia può dare è quello di restituire fiducia alla relazione e all’importanza dei sentimenti. In passato gli insegnati usavano scrivere sulla lavagna da una parte il nome dei bambini bravi e dall’altra quelli dei cattivi. Ora i bambini vengono classificati in moltissimi modi diversi in base alla loro modalità di apprendimento: dislessico, disortografico, discalculico, disgrafico ecc. oppure in base al loro comportamento: iperattivo, oppositivo, aggressivo ecc. Forse cambiano i nomi con cui identifichiamo le problematiche ma non cambiano i vissuti di inadeguatezza e allo stesso modo non si riesce ancora una volta a vedere che dietro il problema che riscontriamo c’è sempre una relazione che non sta funzionando. Tutto ciò con cui il bambino si relaziona: le aspettative, lo spazio, gli strumenti, le modalità didattiche e l’insegnante possono ostacolare o facilitare i processi apprenditivi. Per questa ragione è sempre più importante avere cura del clima di apprendimento e della qualità della relazione piuttosto che trovare che cosa c’è che non va nel bambino, perché è la relazione educativa che fa la differenza.

Valorizziamo le competenze non le difficoltà. Le diagnosi ci danno una fotografia statica delle abilità di quel bambino in quel momento. Ogni persona invece è in un continuo processo di sviluppo, immerso in una dimensione dinamica. Infatti, lo sviluppo delle proprie competenze cresce in tutto l’arco della vita. La natura ci insegna a coltivare le competenze piuttosto che concentrarci sulle difficoltà. Gli educatori hanno la responsabilità di rimandare fiducia ai bambini e ai ragazzi, perché esistono innumerevoli modi per favorire le proprie potenzialità.

Gli studenti grandi o piccoli che siano imparano soprattutto da se stessi. Se pensiamo all’insegnante o all’educatore come colui che sa e al discente come colui che non sa, è poi naturale che l’unico strumento che riteniamo utile per l’apprendimento è la lezione frontale, dove l’insegnante riempie di contenuti il bambino. Occorre invece cambiare prospettiva e ricominciare ad abbracciare un approccio socratico, dove il maestro si occupa davvero dei suoi alunni perché parte da loro, per comprendere cosa già sanno, come possono apprendere l’uno dall’altro e poi se ce ne fosse la necessità, immette delle informazioni nuove. Educare vuol dire allora condurre, facilitare, aiutare a scoprire. Troppo spesso i bambini e i ragazzi si annoiano a scuola. Per rendere interessante una lezione si può ad esempio proporre una lezione problema: “Che cosa succederebbe all’impero romano se….” “Che cosa fareste se foste Napoleone?” “Che cos’è l’aria?” vuol dire allora porsi stimolando il ragionamento e la ricerca di risposte e non dando per scontato che l’adulto sia l’unico che sa. L’insegnante aiuta i bambini o i ragazzi a partecipare al problema, a scoprire le loro conoscenze, a ricercare le soluzioni, a utilizzare gli strumenti messi a disposizione per saperne di più. In sostanza è più efficace aiutare a comprendere come imparare a imparare perchè è questa metacognizione che gli sarà utile per tutta la vita.

Ognuno ha il suo modo per imparare.  Si parla spesso di aiutare gli alunni che presentano un disturbo specifico dell’apprendimento dando a loro la possibilità di utilizzare strumenti compensativi e se dessimo invece a tutti la possibilità di scoprire i propri strumenti per imparare? Ormai i nuovi orientamenti pedagogici parlano di una scuola delle competenze ossia d’insegnanti capaci di facilitare gli alunni all’autoconsapevolezza attraverso metodi attivi e partecipati. La pedagogia da sempre utilizza la relazione dialogica con i discenti per trovare insieme a loro i modi e gli strumenti che siano più utili all’apprendimento come: scrivere, ascoltare, ripetere oppure utilizzare mappe concettuali, disegni, attività manuali, espressioni musicali o teatrali ecc. Proprio perché ci sono vari tipi d’intelligenze come asseriva Howard Garden, così possono esserci tante porte di accesso agli apprendimenti. La conoscenza di se e del proprio modo di imparare è una competenza trasversale che sta alla base del successo apprenditivo.

Coltiviamo l’empatia. Nessuna intelligenza è più importante di quella interpersonale. Se non si è consapevoli del proprio sentire, delle proprie competenze e difficoltà, se non si coltiva la sensibilità per il sentire dell’altro, rischiamo di non dare sufficiente considerazione agli aspetti relazionali ed emotivi dell’apprendimento, perdendo un importante porta di accesso all’altro, che può fare la differenza nel suscitare interesse o disinteresse, curiosità o noia, gioia o frustrazione. Allora insegnare vuol dire donare empatia e attenzione alla persona nella sua interezza e accogliere i suoi vissuti. Apprendere con l’ansia da prestazione non è la stessa cosa che apprendere con interesse e con piacere. L’emozione più frequente cui il bambino sarà esposto di fronte al compito lo segnerà o gli sarà di esempio per tutta la vita. Per questa ragione non credo all’etichetta che spesso è data ai bambini o ai ragazzi. “E’ pigro” “Non ha voglia di studiare” ecc. Non ci sono bambini che non hanno voglia di imparare perché imparare è un processo biologico scritto nei nostri geni e grazie all’avere imparato che ci siamo evoluti dalle caverne ai grattacieli. Credo invece che spesso le persone, piccole o grandi che siano, stiano fuggendo dall’emozione spiacevole che lo studio evoca in loro.

Favoriamo la cooprogettazione formativa. Maria Montessori diceva alle insegnanti di seguire l’interesse del bambino. E’ attraverso l’interesse che l’apprendimento diventa efficace. Senza interesse non c’è apprendimento. Studiare con interesse vuol dire radicare gli apprendimenti alla realtà, vuol dire far uscire la pedagogia dalle università e farla entrare nei luoghi di apprendimento perché possa essere messa in pratica attraverso percorsi cooprogettati tra docenti, alunni e famiglie. A volte si ha una visione ideale del bambino o del ragazzo senza calarlo al caso concreto, all’alunno che abbiamo davanti. Ognuno di noi apprende, studia e impara in modo differente, dare la possibilità agli studenti di fare delle scelte su come declinare il proprio percorso formativo, può ricondurre il processo apprenditivo a dati di realtà, fatti di persone concrete con un proprio modo di sentire e interagire con il programma.

Più che valutare registriamo i progressi. I voti sono metri di giudizio che non possono esprimere la complessità del processo apprenditivo. Il 10 preso da Alberto è sempre diverso dal 10 preso da Giovanni perché seppure gli obiettivi didattici sono stati raggiunti da entrambi, non possiamo sapere cosa sta dietro al processo che ha generato quel risultato. Quando s’insegna, possiamo saper cosa immettiamo all’interno della lezione, possiamo registrare che cosa ci arriva, ma ci rimane oscuro l’intervallo tra la lezione e il risultato. Il risultato non ci dice nulla della fatica emotiva, della concentrazione, della rielaborazione che è avvenuta all’interno e questi sono dati importanti per non livellare il potenziale umano a un prodotto scritto o orale. Allora cosa più importante del risultato è sempre la consapevolezza del percorso svolto e il piacere del progresso raggiunto.

Cambiamo il ruolo degli insegnati, educatori, genitori da chi sta davanti ai bambini a chi è al loro fianco.  Insegnare è un’arte di grande responsabilità nel facilitare l’apprendimento e nel far nascere l’interesse. Quanti di noi amano una materia piuttosto che un’altra in base all’esempio, alla passione che ci ha trasmesso un insegnante? Essere un adulto che si mette a fianco degli alunni e non davanti a loro fa la differenza. Già nel 1920 Il pedagogista R. Steiner diceva: “la lezione di oggi fatta in base a supporti didattici … rende la lezione il più impersonale possibile. Si fa di tutto per togliere all’insegnamento l’elemento personale”. Insegnare allora vuol dire imparare in un rapporto di relazione dove non serve valutare, ma è più efficace rendere visibile le competenze. Vuol dire proporre materiali e metodi didattici diversi per dare l’opportunità a tutti di trovare il proprio modo di apprendere.

Per concludere prendo in prestito ancora le parole di R. Steiner: “la pedagogia giusta non è quella che si limita ad istruire l’insegnante, ma quello che lo anima interiormente”.

Giuditta Mastrototaro

Bibliografia:

C. Edwards. I cento linguaggi dei bambini. Edizioni Junior 2016.

Giuditta Mastrototaro. Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Streetlib 2015.

Haward Gardner. Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento. Erikson 2017.

Maria Montessori. Come educare il potenziale umano. Garzanti 2018.

R. Steiner. Arte dell’educare arte del vivere. Fondamenti di pedagogia. Ed. R. Steiner 2006.

Articolo uscito suddiviso in più parti su Laif: https://www.laifitalia.it/2019/12/30/insegnare-con-empatia/