L’empatia strumento di relazione

L’empatia non è qualcosa che possiamo acquistare, guadagnare o acquisire. L’empatia è già dentro ognuno di noi. Nasciamo con questo bagaglio emozionale. Già da neonati nella nursery se un bambino piange, presto anche gli altri faranno lo stesso. A un anno d’età noteremo qualcosa di simile, infatti, di fronte ad un bambino che piange il compagno potrebbe succhiare il pollice o abbracciare la mamma come se stesse soffrendo lui stesso. Con il crescere, evolvono anche le strategie per mostrare all’altro empatia. Infatti, un bambino di due anni e mezzo è già in grado di comprendere il dolore altrui e saperlo distinguere da sé, per questa ragione non è usale vedere bambini di quell’età che consolano i loro compagni che piangono, magari facendogli una carezza o portandogli un gioco.

In sostanza l’empatia è processo evolutivo naturale e fisiologico come impariamo a stare in piedi a camminare e a correre così con lo sviluppo cognitivo impariamo ad affinare le nostre competenze empatiche.

Certo è che se invece di dare importanza al sentire del bambino cerchiamo fin dalla più tenera età a non tenerne conto, questo non li aiuta a crescere in questa competenza, ma implementa invece una certa insensibilità ai sentimenti altrui. I neonati che non ricevono risposta al loro pianto smettono di piangere, ma questo non vuol dire che si siano calmanti. Le ricerche hanno verificato che permane in loro uno stato di allerta, di tensione e di stress perché il cervello è pervaso da un’elevata concentrazione di cortisolo, adrenalina e altri elementi che creano una vera e propria tossicità chimica da stress (Shore 2001).

Il Professore Daniel Goleman afferma che: “L’empatia dei bambini si forma osservando il modo in cui gli altri reagiscono alla sofferenza altrui”. Questo vuol dire che in base a come reagiamo di fronte alla loro sofferenza o a quella degli altri traggono un esempio su come comportarsi. Per questa ragione è molto importante essere consapevoli delle nostre reazioni di fronte alle emozioni. Tendiamo a minimizzare? Con frasi del tipo: “Non piangere che non ti sei fatto niente?” Tendiamo a reagire: “Ecco così impari che non si sale sul tavolo!”

Essere in grado di ascoltare le emozioni è una competenza importante per le relazioni interpersonali. Se desideriamo che i nostri figli raggiungano l’autocontrollo, i primi che possono mostrare come si fa, siamo noi adulti, cercando di non lasciarci travolgere noi stessi dalle emozioni. Ad esempio se nostro figlio ha rotto un vaso, se siamo consapevoli di come ci sentiamo possiamo esprimerlo: “ Quando vedo il vaso per terra rotto, mi sento molto dispiaciuta …” se invece preferiamo empatizzare con il bambino possiamo dire: “Ti sei spaventato nel sentire il rumore dei cocci rotti del vaso?” In entrambe le due espressioni lasciamo che l’accaduto possa essere uno strumento di crescita e di apertura alla relazione tra genitore e figlio. Non sappiamo cosa accadrà dopo, il bambino potrebbe accarezzare la madre o la madre potrebbe comprendere meglio le intenzioni del figlio. Diamoci la possibilità di non saperlo e di entrare in relazione con lui o lei per scoprirlo.

Se invece reagiamo con espressioni come: “Non si buttano le cose per terra!” La conversazione è chiusa. Daniel Stern parla di “sintonizzazione emotiva” ossia la capacità di ascoltare, accettare e comprendere l’emozione. Questa sintonizzazione emotiva crea quell’ambiente fertile e quel clima accogliente che rende più facile un rapporto fondato sulla fiducia reciproca. Questo vuol dire saper aspettare prima di intervenire tempestivamente, vuol dire essere fiduciosi che saprà imparare dalle sue esperienze, vuol dire offrirgli l’opportunità di trovare le sue soluzioni.

Come tutte le competenze che abbiamo in seme anche quelle empatiche possono essere favorite o ostacolate.

Favoriamo l’empatia quando riconosciamo le preziose informazioni che le emozioni ci danno. La paura ci dice che abbiamo bisogno di sentirci più sicuri prima di affrontare qualcosa. La rabbia ci dice che stiamo giudicando una situazione non accettandola e che desideriamo cambiarla. La gioia e la felicità ci dicono che i nostri bisogni sono stati soddisfatti. Possiamo mostrare empatia mettendo intensità nella nostra voce: “Caspita! Sei proprio arrabbiato”. Dando attenzione, comprensione e significato a quello che prova: “Volevi assolutamente la banana con la buccia. Quando invece hai visto che l’ho sbucciata ti sei sentito dispiaciuto, risentito e arrabbiato”.

Ostacoliamo l’empatia quando lasciamo solo un bambino con le sue emozioni. Alcuni bambini grandicelli che perdono continuamente il controllo soffrono di stati d’ansia e di stress. Un bambino intrappolato dalla propria rabbia fa molta fatica a calmarsi o a frenare i suoi impulsi e per questa ragione una pedagogia basata sull’empatia non si avvale dei suggerimenti che purtroppo vengono dati a molti genitori, di dare al bambino un cuscino da lanciare o un oggetto da percuotere perché questo lo sanno fare benissimo da soli, senza che i genitori con le migliori intenzioni incitino a questi comportamenti. In realtà a differenza di quello che si crede questi comportamenti non fanno altro che alimentare la rabbia. La psicoterapeuta Margot Sunderland (Erickson 2008) a questo proposito dice: “Non fareste altro che rinforzare il circuito della rabbia nel suo cervello animale e sbilanciare ulteriormente il suo sistema di stimolazione corporea”. I bambini molto arrabbiati non hanno bisogno di tutto questo, ma al contrario di uscire dalla morsa dei comportamenti istintuali e di ritrovare la loro calma interiore ricontattando tutte le parti più elevate di sé, come la capacità di ragionare, di usare la logica, la creatività e di farsi consolare ecc.

Le neuroscienze ci danno ulteriori conferme spiegando che ripristinando il contatto fisico, come ad esempio: il tenere in braccio, il gioco corporeo, il massaggio e allo stesso tempo usando parole empatiche definite carezze emotive, aiutiamo il bambino a calmarsi a inondare il cervello di sostanze chimiche come l’ossitocina “l’ormone dell’amore”. Non è mai troppo tardi per mostrare attenzione, cura della relazione, empatia e amore perché ciò aiuta a superare l’ansia e a regolare le emozioni forti dei bambini.

Bisogna tenere conto anche del fatto che un genitore stressato, stanco o spaventato per le reazioni del figlio non può essere d’aiuto. Per questa ragione è ancora più importante dell’imparare a essere empatici con i nostri figli, apprendere come possiamo esserlo con noi stessi, momento per momento, collegandoci ai nostri sentimenti e ai nostri bisogni, tanto più ci alleneremo a saperli riconoscere, tanto più riusciremo a farlo con i nostri figli piccoli o grandi che siano. Ciò consentirà un’autentica connessione empatica, così importante per costruire relazioni sane con le persone cui vogliamo bene.

Giuditta Mastrototaro

Immagine in apertura Giselleflissak / iStock

Articolo uscito su www.uppa.it

Bibliografia:

Daniel Goleman. Intelligenza emotiva che cosè e perchè puo renderci felici. Rizzoli, Milano 1997.

Giuditta Mastrototaro. Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Steetlib, Millano 2015.

Margot Sunderland. Aiutare i bambini…pieni di rabbia o odio. Erickson, Trento 2005.

Marshall B. Rosenberg. Crescere i bambini con la Comunicazione Nonviolenta. Esserci, Reggio Emilia 2007.