Lettone sì o lettone no?

Sul tema del sonno non tutti siamo d’accordo anche i miei colleghi pedagogisti o psicologici si dividono.  C’è chi pensa che la condivisione del sonno sia assolutamente da vietare e c’è chi sdogana il lettone da presunti danni psicologici ed educativi. Per le mamme non è facile districarsi tra informazioni contrastanti. C’è una buona notizia non occorre arrovellarsi su chi ha ragione o chi ha torto. Non è necessario scegliere oggi cosa farai con tuo figlio o avere un’idea programmata.

Ogni genitore consapevole può fare le sue scelte notte per notte, in base allo sviluppo evolutivo del suo bambino, in base alla capacità di ascolto che ha in quel momento, senza che nessun esperto lo taccia di rovinare il figlio perchè ogni situazione va ascoltata, compresa e osservata.

La cosa che sappiamo è che fin dalla gravidanza il sonno della madre cambia. Ad esempio l’alzarsi con regolarità di notte negli ultimi mesi di gravidanza per andare in bagno è un modo che ha la natura per preparare la madre ai risvegli notturni del suo piccolo. Inoltre il sonno della madre dopo il parto cambia è diviene meno profondo ma più vigile. La natura ha quindi attrezzato le madri all’ascolto dei propri bambini. Inoltre Il bambino nasce immaturo riguardo alle proprie regolazioni neurobiologiche e ci vorranno alcuni anni prima che le fasi del sonno REM (sonno più leggero che è più sensibile ai risvegli) e non REM (sonno più pesante) siano simili a quelle degli adulti.

E’ stato dimostrato che la SIDIS (sindrome della morta in culla) è praticamente sconosciuta nei paesi dove il sonno condiviso è la norma perché  la madre contribuisce alla regolazione delle funzioni biologiche del figlio ovvero alla respirazione, temperatura corporea, protezione immunologica, sviluppo del legame madre/bambino e risposta ai bisogni primari di sicurezza e protezione.

Il sonno condiviso praticato con sicurezza è sostenuto da organizzazioni come: Unicef, Accademy of Breastfeeding Medicine, Royal College of Phisician and Surgeons e Pediatrics and Child Hearth Division.

 Il sonno del bambino è un processo fisiologico e non si insegna, avverrà come tutti i processi neurobiologici, ossia quando il bambino è pronto. Come genitori più che continuare a chiedere delle risposte all’esperto di turno, forse vale la pena fermarsi ad ascoltarsi e provare a farsi delle domande. Le domande sono elementi potenti, perché ci danno l’occasione per ascoltarci e ascoltare la situazione. Allora proviamo a chiederci: Di cosa ha bisogno in questo momento mio figlio? Che cosa m’impedisce di rispondergli? Che messaggio voglio dare a mio figlio quando ha bisogno di me? C’è un comportamento che posso mettere in atto che possa dargli fiducia nel suo sentire e quindi alimentare la sua autostima? C’è nel contempo qualcosa che posso fare che mi faccia sentire meglio quando sono stanca? Posso trovare un equilibrio tra i miei bisogni e quelli di mio figlio? Ci sono degli accorgimenti perché il mio bambino possa fare piccoli passi verso l’autonomia?

Queste risposte restituiscono potere ai genitori e alle proprie competenze, che è poi quello che desideriamo anche per i nostri figli. Il pianto del bambino innesca nei suoi genitori dei sentimenti e spesso delle risposte istintive di vicinanza. Per queste ragioni non occorre prendere una decisione rigida e irremovibile e invece più efficace trovare un pò di tempo per ascoltarsi.

In una pedagogia basata sull’empatia, il facilitare il bambino al sonno come ogni tappa evolutiva non avviene sul bambino a spese sue, ma con il bambino, insieme a lui, in ascolto di noi stessi e dei suoi sentimenti, fiduciosi che  le autonomie il bambino ascoltato le raggiungerà. Ciò che fa crescere una persona non è quante frustrazioni abbia ricevuto, ma quanta fiducia abbia avuto in se stesso, questo lo farà sentire capace nell’affrontare le sfide della vita.  In sostanza se ci sentiamo bene a dormire con il bambino quando i suoi bisogni di prossimità fisica sono molto intensi non c’è nulla che non va in questo. Se invece ci sentiamo più a nostro agio a non averlo nel letto con noi, ma accanto a noi in un lettino vicino al nostro, va bene uguale. Quando invece il bambino può raggiungerci autonomamente avendo un lettino o un letto che gli consenta di uscire agevolmente e arrivare fino a noi, l’essere in una stanza attigua potrebbe essere la scelta successiva. Gradualmente quando i risvegli saranno meno frequenti dormirà sempre più tempo nel suo letto. Quanto più un bambino fa esperienze di autonomia che lo mettono in grado di autoregolarsi, tanto più si costituiranno delle strade neuronali  di fiducia e di autostima che gli saranno di esempio per tutta la vita. Se ora che sei grande ti chiedi perché non sei capace di chiedere aiuto, quando ne hai bisogno o perché non hai autostima, forse potrebbe sorprenderti che le risposte possono trovarsi nelle tue esperienze infantili e nelle tue mappe procedurali che hai acquisito facendo esperienze di non ascolto e di disconnessione.

E’ importante per i genitori essere informati riguardo alle naturali fasi di sviluppo dei bambini, così da poter adeguare correttamente le proprie aspettative. Se un bambino non è in grado di fare nulla da solo è molto improbabile che riuscirà a dormire da solo per lunghi periodi. In particolare per quanto riguarda il sonno, i processi neurologici di autoregolazione hanno bisogno di almeno tre anni per regolarsi come quelli degli adulti. Negli anni successivi invece il risvegli notturni possono essere maggiormente influenzati da vissuti emotivi che il bambino sperimenta duranti il giorno. Ecco perché è così importante informarsi e osservare le situazioni senza fare scelte di campo: Sono una mamma chioccia o una mamma tigre? Seguo il metodo facciamoli piangere oppure li tengo sempre con me?

Per tutti i bambini è naturale che desiderino stare a contatto con i propri genitori poco prima di addormentarsi, anche perchè magari li vedono solo verso sera e non possono essere messi a dormire come delle bambole. Possiamo invece darci la possibilità di scegliere una strada fatta di rispetto reciproco per i bisogni dei genitori e quelli dei figli.  Li  si può accompagnare al sonno quando sono piccoli con un contenimento fisico, con un gioco tranquillo quando sono più grandicelli e poi con una storia quando comprenderanno il linguaggio verbale. Mettere a letto i bambini in un modo giocoso può far scoprire ai figli come molte volte i papà ci riescono meglio e può nel contempo far vivere a tutta la famiglia esperienze di qualità relazionale. Se siamo in ascolto dei nostri figli ci accorgeremo quanto gradualmente sarà più facile lasciare che trovino un modo per farlo da soli e questo non accadrà per tutti a tre anni, non ci sono  scadenze per amare e sentirsi amati, aver bisogno di una coccola o di un pò di conforto.  La cosa importante è che qualunque decisione venga presa riguardo al sonno questa sia una scelta che  possa essere sempre riconsiderta con il crescere delle autonomie e che possa dare serenità ai genitori e ai loro bambini.

 

Giuditta Mastrototaro