Luca non vuole più andare a scuola

Luca ha quindici anni ed è stato bocciato l’hanno scorso e quest’anno accompagnato dai suoi genitori ha deciso di riprovarci. Una settimana prima dell’inizio della scuola dice ai suoi che non vuole più andarci. I genitori sono sempre stati attenti ai bisogni di Luca e sono disorientati per questa dichiarazione e preoccupati. La storia di Luca può declinarsi in tanti altri ragazzi ma anche bambini che a un certo punto dicono: “Non voglio più andare a scuola”.

Ecco che arriva la domanda dei genitori: “Come far andare mio figlio a scuola?”

Questa domanda purtroppo non aiuta a risolvere la situazione in cui si trovano molti genitori con figli grandi o piccoli che non vogliono andare a scuola. Educare i nostri figli alla responsabilità non significa cercare di rimuovere dei comportamenti che non ci piacciono, per far posto ad altri comportamenti che approviamo perché se parto da questo presupposto mi ritrovo a litigare con mio figlio, ad imporgli che deve andare, a minimizzare: “dai non fare il bambino piccolo” ad argomentare: “La scuola è importante per il tuo futuro…” a cercare di persuadere: “Se quest’anno sei promosso ti regalo …” e tantissimi altri modi che possono forse funzionare qualche volta, ma che nel tempo risultano inefficaci, se non anche dannosi alla relazione con i nostri figli.

Allora cosa fare?

Non fermiamoci al contenuto delle parole. Proviamo a chiederci che cosa prova? Luca è spaventato perché ha paura di non farcela? Luca si sente a disagio perché ora vede i suoi compagni dell’anno scorso che sono in seconda e lui è ancora in prima con ragazzi più piccoli? I bambini più piccoli invece possono essere spaventati che la mamma non torni a prenderli oppure perchè c’è un compagno che li prende in giro?

Proviamo a ricordare quando noi siamo stati spaventati o magari anche sopraffatti da una situazione che avevamo paura di gestire o nella quale avevamo paura di fallire, se ristabiliamo la connessione con i nostri sentimenti, sarà più facile riconoscere quelli degli altri.

Riconosciamo e accettiamo le emozioni. Molto spesso di fronte al rifiuto di fare qualche cosa l’emozione più grande che sta provando è la paura. Riconosciamogli il diritto di avere paura. Se diamo il nome alle emozioni le sdoganiamo dalla vergogna o dalla colpa di provarle come se fossero inadeguate. Imaparare ad osservare le emozioni senza volerle per forza cambiare, aiuta il ragazzo o il bambino a prendere consapevolezza che possono sentirle senza esserne sopraffatti.

Non giudichiamo la sua emozione perché di nuovo ci ritroviamo in una comunicazione inefficace come: “Non c’è nessuna ragione di avere paura ce la farai!” oppure “Ti fai spaventare da quel compagno mingherlino, ma dagli una spinta e vedrai che ti lascia in pace” . A volte ciò che ci blocca davvero ad accogliere le emozioni dell’altro è che non ci riusiamo con noi stessi.Facciamo attenzione a quanto risuanonano in noi genitori quello che provano i figli.  Quando invece permettiamo ad ogni emozione di esprimersi liberamente senza bloccarla, questa svanisce più rapidamente.

Un bambino o adolescente compreso sarà più disposto a cercare come affrontare il suo problema. Una modalità potrebbe essere quella di usare il problem-solving ossia invitiamoli a pensare a tante soluzioni possibili che possono utilizzare per superare questa situazione difficile. Ovvio la prima soluzione che salterà alla mente sarà: “Non vado più a scuola” ma chiediamogli di pensare a tante idee e non una sola. Quanto più il figlio è piccolo e più avrà bisogno che il genitore partecipi alla tempesta d’idee, occorrerà segnare anche quelle più folli irrealizzabili, si potrà continuare fin quando ce ne saranno sufficientemente per ragionarci su e poi sceglierne una più interessante di altre che è condivisibile e accettabile per genitori e figli.

Infondo a chi di noi non è mai capitato di sentirsi sopraffatti da un problema e non sapere cosa fare. Ci sono innumerevoli modi per affrontare un problema:

  • Darsi del tempo. Non essere immediatamente orientati alla risoluzione del problema, ma darci del tempo per comprenderlo in tutte le sue sfaccettature. Disegnare la paura, giocare sul confine della paura, dove il bambino risulti vincente, leggere libri sul tema.
  • Uscire. Stare in mezzo alla natura e lasciare che i pensieri fluiscano liberamente invece che parlarne a casa.
  • Mostrare vicinanza fisica ed affettiva quando i bambini o i ragazzi sono sopraffatti dalla paura.
  • Cambiare prospettiva. A volte quando ci sentiamo troppo coinvolti, è meglio passare il testimone, all’altro genitore, a un amico che ha vissuto un’esperienza simile o a una persona di cui ti fidi che possa parlare con tuo figlio/a.
  • Passare del tempo insieme. Non può esserci niente di più piacevole che sentirsi accettati anche nelle proprie difficoltà e fragilità.
  • Provare a cambiare qualche convinzione limitante. E se avesse ragione lui e quella situazione non fa per lui/lei? E se quel compagno invece di evitarlo, lo invitiamo a casa e scopriamo più da vicino com’è?

Come genitori siamo chiamati ad ascoltare con empatia, a dare un esempio, a proporre qualche strumento o opportunità per affrontare la situazione. Nonostante questo è inevitabile che possiamo sentirci dispiaciuti per la mancata sicurezza che può avvertire nostro figlio/a nell’affrontare le difficoltà. La sicurezza interna ognuno di noi l’ha raggiunta non quando ha evitato le situazioni, ma restando sul confine dell’esperienza, riprovandoci più e più volte, fino a quando ci si sente abbastanza coraggiosi per affrontarla. L’evitamento invece rischia di confermare un senso di inadeguatezza. La cosa che possiamo offrire allora ai nostri figli è tutto la vicinanza empatica che siamo capaci di dare e allo stesso tempo più opportunità che li invitino ad affrontare le loro paure, per imparare soprattutto da loro stessi.

Giuditta Mastrototaro