Pedagogia in pillole: due errori da evitare quando parli con tuo figlio

Fare paragoni. “Guarda come si comporta tua sorella” “Quando avevo quattordici anni facevo i compiti e aiutavo mia madre in casa”. Essere paragonati a qualcun altro è piuttosto frustrante e svalutante. Pensa se tuo marito lo facesse con te: “Quando stavo con l’altra lei lavorava, prendeva un buono stipendio e puliva perfettamente la casa”. Lo sentite ora com’è irritante? In particolare gli adolescenti spesso stanno cercando la prova che i loro genitori non li capiscono. Invece è molto più efficace utilizzare una comunicazione che non mini l’autostima di nessuno. Se desideriamo comprendere l’altro occorre a volte ricordare come ci sentivamo quando eravamo bambini o adolescenti e riconoscere che seppure il mondo è cambiato, la tecnologia impervia, i sentimenti d’irritazione che abbiamo provato e i bisogni di autonomia sono sempre gli stessi.

Dare soluzioni. Quando i figli sono angosciati, più il genitore è incline a tentare di risolvere i problemi a loro posto e più i figli potranno innescare dinamiche relazionali oppositive. I problemi sono dei bambini e dei ragazzi e non i nostri e sono i loro i maggiori esperti in grado di risolverli. Tutte le volte che facciamo qualcosa al posto degli altri miniamo la loro autostima e gli comunichiamo che non sono in grado di farlo da soli. La soluzione consegnata su un piatto d’argento è un modo per fuggire a l’ansia che noi adulti abbiamo nei confronti del problema. Quanto più tentiamo di risolvere come ad esempio: “E’ meglio che tu faccia in questo modo” tanto più chiudiamo la comunicazione, ostacolimo la riflessione e l’autoefficacia. La soluzione parla di noi e sposta la comunicazione dall’ascolto del figlio all’ascolto di noi genitori e delle nostre ragioni. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di sentirsi capaci ed è per questo che occorre fare un passo indietro per comunicare fiducia nel fatto che sono in grado di trovare le loro soluzioni. Il nostro intento come educatori è quello di aprire il dialogo, di metterci dalla parte di chi è spettatore del problema,  non di chi è il protagonista,  in sostanza occorre  STARE nel problema come ad esempio: “Caspita mi sembra tu voglia … come possiamo fare?”.  Proviamo a cambiare prospettiva e a metterci dalla parte delle domande invece che da quella delle risposte, per lasciare spazio all’altro e comunicargli: “Ho fiducia in te, so che ce la puoi fare!”.

Giuditta Mastrototaro