Si può educare l’intelligenza?

I bambini sono naturalmente predisposti allo sviluppo della loro intelligenza. Quello che dobbiamo fare è non ostacolare questo naturale processo.

Quando Maria Montessori parlava di “mente assorbente” non intendeva che i bambini fossero dei vasi vuoti da riempire o specchi che riflettono passivamente l’esterno, ma vedeva i bambini come protagonisti attivi, capaci di impadronirsi delle esperienze fatte nel loro ambiente grazie alla loro mente assorbente.

I bambini per imparare hanno bisogno di apprendere prima attraverso i sensi, il movimento, il tocco e poi di vedere le loro esperienze tramite immagini che possono essere visive o uditive.

Ci sono dei bambini che mostrano più difficoltà di altri ad apprendere, soprattutto in un contesto scolastico con tempi rigidi e cadenzati uguali per tutti. Così, sempre più spesso sono etichettati come pigri o che non si impegnano e ciò favorisce la medicalizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza.

Invece, occorre restituire alla pedagogia e all’educazione l’enorme bagaglio di conoscenze e competenze nel promuovere le potenzialità dei bambini e dei ragazzi.

L’osservazione delle difficoltà apprenditive non deve diventare rassegnazione o un’etichetta che si da un bambino. Nessun bambino può essere escluso dalla scienza che lo riguarda ossia la Pedagogia.

La Pedagogista Maria Montessori affermava che per favorire l’apprendimento era fondamentale la preparazione dell’ambiente perché esso genera autonomia.

L’educazione all’intelligenza diventa allora un seguire il bambino e non un precederlo. E’ nella pratica della propria autonomia che si può fare una libera scelta.

Il bambino impara nel fare perché solo così ha l’opportunità di seguire le proprie inclinazioni e sperimentarle.

Il rischio di un certo approccio trasmissivo vede i bambini come teste vuote da colonizzare. Invece, educare vuol dire porre dei problemi da risolvere, dare degli spazi di riflessione, è in questo modo che si esercita l’intelligenza.

Educare le emozioni vuol dire allora riconoscere che esse hanno un certo peso anche nel processo apprenditivo. Non è indifferente se si apprende con paura o con interesse. E’ invece importante che ogni bambino/a e ragazzo/a conosca se stesso e quali attribuzioni da ai suoi successi o insuccessi.

Se l’alunno o lo studente ad esempio pensa: “Lo sapevo che non ci sarei riuscito” oppure “ci sono riuscito per pura fortuna” il suo stile attributivo e basato sulla bassa autostima o da elementi esterni (la fortuna).

Un approccio pedagogico basato sull’empatia invece lo aiuterebbe a scoprire che i sentimenti con cui si fanno le cose sono importanti, che ognuno di noi ha un proprio stile cognitivo/apprenditivo, che ci sono molte strategie per raggiungere un obiettivo, che c’è un nesso tra impegno e riuscita.

Tutti questi elementi non sono trascurabili se vogliamo davvero prenderci cura della persona che abbiamo davanti e desideriamo per lui/lei che raggiunga una buona autostima, un buon livello di autoefficacia e il successo apprenditivo e scolastico.

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia per approfondire:

Holder E. E., Levi, J.D. Mental Health and locus of control: SCL-90-R and Levensons’s IPC scales, Journal of Clinical Phychology, vol. 44, 5, 2006, pp753-755.

Mastrototaro, G. (2015). Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Milano: StreetLib.

Montessori, M. (1992). Come educare il potenziale umano. Milano: Garzanti Editore.