Come utilizzare l’empatia per connetterci con i nostri figli piccoli o grandi?

L’empatia non è qualcosa che possiamo acquistare, guadagnare o acquisire. L’empatia è già dentro ognuno di noi.

Nasciamo con la capacità di riflettere su come ci sentiamo e grazie all’autoempatia siamo in grado di percepire anche quello che sentono gli altri.

L’empatia accade come processo evolutivo naturale e fisiologico come impariamo a stare in piedi a camminare e a correre così con lo sviluppo cognitivo impariamo a sviluppare le nostre competenze empatiche.

Certo è che se invece di dare importanza al nostro sentire ci ritroviamo a ingoiare le nostre emozioni per far piacere a mamma, a papà, alla maestra o a nostro marito questo non ci aiuterà a svilupparle, ma a reprimerle e quanto saremo più insensibili verso noi stessi tanto più lo saremo nei confronti degli altri.

Quindi come tutte le competenze che abbiamo in seme anche quelle empatiche possono essere favorite a crescere oppure ostacolate.

Che cosa possiamo fare nel concreto per esprimere e favorire l’empatia?

Dare valore ai nostri sentimenti. Riconoscere le preziose informazioni che le emozioni ci danno, ci aiuta a comprendere e conoscere meglio noi stessi, i nostri vissuti e i nostri pensieri come genitori e come bambini. La paura ci dice che abbiamo bisogno di sentirci più sicuri prima di affrontare qualcosa. La rabbia ci dice che stiamo giudicando una situazione non accettandola così com’è, ma desideriamo cambiarla. La gioia e la felicità ci dicono che i nostri bisogni sono stati soddisfatti.

Dare ascolto al sentire dell’altro. Se nostro figlio si è fatto un piccolissimo taglietto e piange, può capitare di dirgli: “Non ti preoccupare” “Ma va cosa piangi per questa stupidata” “Dai che non ti sei fatto niente!” Tutte queste frasi bloccano la comunicazione, non danno valore alle emozioni e minimizzano il sentire dell’altro. Entrando invece nel cuore dell’altro per sentire ciò che prova lui possiamo dire:Caspita stai piangendo, ti sei proprio spaventato per questo taglietto”

Restituire un orizzonte di senso a ciò che accade. E’ sensato sentire dolore. E’ comprensibile sentirsi spaventati. Tutto il dolore, lo spavento e la frustrazione che nostro figlio sente se riconosciuto, si apre ad un orizzonte di significato e di valore per  quell’esperienza.

Distinguere il nostro sentire dal sentire dell’altro.  Empatizzare con nostro figlio vuol dire non sovrapporre quello di cui abbiamo bisogno noi con quello di cui lui ha  bisogno. Se ad esempio il genitore può sentirsi frustrato per un comportamento di un figlio, non è dicendogli: “Sei proprio un maleducato e non hai rispetto per i tuoi genitori” che risolviamo la questione. Tutte le volte che diciamo a qualcuno cosa è o non è  lo stiamo giudicando e confrontandolo con ciò che per noi è accettabile o meno. Riconoscere questa cosa vuol dire che distinguo il mio sentire da quello di mio figlio, che fa o non fa le cose NON per farmi un dispetto, ma perché desidera rispondere a un suo bisogno.

Cercare di non reagire ma di agire consapevolemente. Tanto più impariamo a essere presenti a noi stessi momento per momento, collegandoci ai nostri sentimenti e ai nostri bisogni, tanto più sapremo riconoscerli anche negli altri e riusciremo a creare quello spazio di ascolto e quella responsabilità per il nostro sentire che è distinto da quello di nostro figlio. Ciò consentirà un’autentica connessione empatica, così importante per costruire relazioni significative con le persone a cui vogliamo bene.

Dare fiducia. Qualunque esperienza nostro figlio stia vivendo come genitori occorre comprendere che è la sua esperienza e che non dobbiamo sostituirci a lui per fare al posto suo.Ciò vuol dire saper aspettare prima di intervenire tempestivamente, vuol dire essere fiduciosi che saprà cavarsela e offrirgli l’opportunità di trovare le sue soluzioni.

Giuditta Mastrototaro