Il dialogo pedagogico è un elemento importante per creare un’alleanza educativa.
I bambini e i ragazzi non imparano se hanno paura di fare errori o di essere derisi per questo è molto importante prendersi cura della relazione. Che cosa vuol dire alleanza educativa? Significa che dietro il ruolo che ricopriamo di insegnante o di studente è importante non dimenticare di essere autentici e incontrare l’altro da persona a persona.
Il dialogo con l’alunno è il tassello fondamentale per interrogarci su come lo studente impari, apprenda e crei collegamenti significativi.
Alfred Binet (1857 – 1911) è stato il primo ad aver utilizzato in modo sistemico l’introspezione, sia con le sue due figlie adolescenti che con alcuni bambini. Egli domandava quando svolgevano un’azione mentale come riuscivano a memorizzare, descrivere, definire, immaginare una certa cosa.
Tra il 1902 e il 1908 anche la scuola psicologica di Würzburg adottò il colloquio introspettivo per indagare le funzioni mentali, i processi di pensiero e le operazioni logiche.
Il Pedagogista Antoine De La Garanderie (1920-2010) fondatore della Pedagogia dei Gesti Mentali ha osservato con attenzione le varie fasi dell’apprendimento: porre attenzione, immaginare, comprendere, riflettere e memorizzare.
Il Pedagogista supportava gli studenti attraverso il dialogo pedagogico e chiedeva loro di porre l’attenzione sull’oggetto di apprendimento con la finalità di rivederlo nella propria testa. Promuoveva un approccio metacognitivo ossia essere consapevoli dei passaggi mentali necessari a imparare.
Nel mio lavoro di Pedagogista ho avuto molte esperienze di successo attraverso il dialogo pedagogico. In particolare ricordo una bambina in seconda elementare che non riusciva a leggere, nonostante i ripetuti tentativi fatti a scuola e a casa. Osservando la bambina e parlando con lei ho scoperto che il suo approccio all’apprendimento era cinestesico ossia apprendeva tramite il corpo, infatti, era una bravissima ballerina. Per questa ragione le ho insegnato le lettere dell’alfabeto chiedendole di rappresentarle con il corpo. La bimba ha così gradualmente interiorizzato i movimenti del suo corpo riuscendo a vederli nella sua testa e quindi a riconoscere le lettere, le sillaba e a leggere. “Ho capito leggere è come danzare!” mi ha detto un giorno questa mia alunna.
Si comprende bene da questo esempio che ognuno ha un suo modo di interpretare la realtà che lo circonda, per questa bambina tutto era l’estensione dei movimenti del suo corpo, questo processo di consapevolezza le ha dato la chiave per aprirsi all’apprendimento.
La metacognizione è proprio questo: osservarsi, essere consapevoli, riflettere e mettere in pratica i passi necessari per raggiungere una certa conoscenza e abilità. Questo processo può avvenire solo se facciamo una rivoluzione copernicana ossia mettiamo lo studente al centro del processo apprenditivo e non il contenuto da apprendere. Come possiamo allora mettere al centro il bambino o il ragazzo? Aiutandolo a riflettere su di sé. Ecco alcune domande utili:
Come percepisci le informazioni? Le immagini nella testa oppure le ascolti nella testa? Le senti nel corpo?
Come sai di aver compreso?
Quali sono i passaggi necessari per memorizzare ciò che hai compreso?
Queste domande devono essere esplicitate allo studente perché egli se ne appropri e possa padroneggiare queste competenze al fine di raggiungere il successo apprenditivo, una migliore autonomia e autostima.
De La Garanderie sostiene che gli studenti che hanno difficoltà scolastiche spesso è perché non riescono a trovare i mezzi adeguati per affrontarli. Ecco cosa afferma in merito: “Avete mai insegnato l’attenzione, la riflessione, la memorizzazione, la comprensione a chi appariva ineluttabilmente votato all’insuccesso? No vero? In tal caso finché non avrete cercato di farlo, non avete alcun diritto di sostenere che il successo in queste diverse attività è la conseguenza dell’inneità dell’attitudine” [1]
In sostanza il Pedagogista non si ferma a seguire l’alunno solo dal punto di vista contenutistico ossia riguardo a cosa deve apprendere, ma sostiene ogni studente riguardo al funzionamento dei gesti mentali che sono necessari ad apprendere (imparare a imparare). A questo proposito afferma De La Garanderie: “La pedagogia non esaurirà il suo ruolo nell’arte di comunicare il sapere. Essa ha il compito primordiale di conseguire i mezzi: conoscere i mezzi per condurre e sviluppare tutte le risorse mentali e comunicarle per l’acquisizione di ogni sapere” [2]
Il dialogo pedagogico si rivela particolarmente efficace quando invitiamo lo studente a riflettere quando ha successo nel lavoro scolastico, chiedendogli di spiegare in che modo ha affrontato e risolto il compito sul piano dell’azione mentale. Quali sono stati i gesti mentali efficaci per acquisire, elaborare ed evocare quell’apprendimento.
Ecco allora che la didattica metacognitiva è particolarmente preziosa per tutti gli studenti e in particolar modo per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali.
La didattica metacognitiva ha l’obiettivo di offrire ai bambini e ai ragazzi l’opportunità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le informazioni ricevute per saperle comunicare e favorire così il successo scolastico e formativo.
Ecco alcuni punti essenziali e interconnessi fra loro da ossere:
– Individuare il funzionamento cognitivo della persona che abbiamo davanti: percezione, attenzione, memoria, emozioni, autoefficacia e capacità attributiva, ossia, quali ragioni adduce lo studente quando riesce nei compiti scolastici? Se è alla fortuna, ha un’attribuzione esterna, se è all’impegno, ha un’attribuzione interna. Si comprende da sé che un’attribuzione esterna è deleteria all’autoefficacia apprenditiva.
– Promuovere l’autoconsapevolezza. Invitare lo studente ad autovalutare il suo lavoro, prima di dare il nostro feedback. Consentire uno spazio di automonitoraggio ossia chiedergli di controllare se ha rispettato tutti i passaggi necessari per la risoluzione del compito, prima di correggere il compito stesso.
– Assicurarsi che il bambino o il ragazzo conosca le strategie di autoregolazione cognitiva ossia sa utilizzare nella pratica strategie per discriminare gli stimoli (ad esempio riunendoli per categorie) sa utilizzare mappe, grafici, schemi ecc..ai fini apprenditivi.
– Facilitare la memorizzazione di quanto appreso traducendolo nel linguaggio mentale più efficace per la persona (visivo, verbale, cinestesico).
– Riconoscere il peso delle emozioni. E’ diverso apprendere con ansia e apprendere con serenità. Riconoscere i suoi sentimenti è importante quanto aiutarlo a capire come reagisce nelle situazioni stressanti che inevitabilmente incontrerà a scuola.
Allora la Pedagogia a cosa serve?
Se ci sono così tanti disturbi dell’apprendimento è perché la nostra società si sta concentrando sugli aspetti psichiatrici del soggetto e non guarda l’insieme interconnesso tra il soggetto e il contesto educativo e didattico. Una Pedagogia basata sull’empatia è un’importante risorsa per aprire gli orizzonti alla normalità che ognuno è diverso e apprende in modo differente. Il/La Pedagogista può aiutarti a scoprire come.
Giuditta Mastrototaro
[1] De La Garanderie, A. (1997). Critique de la raisonpédagogique. Ed. Nathan (p.85).
[2] De La Garanderie, (1989). A. Défense et illustration de l’introspectionau service de la Gestion Mentale. Ed. Bayard (p.168).