Il bambino inizia a sentire verso le 24-28 settimane di gestazione, egli ascolta i suoni che provengono dal cuore, dal respiro, dalla deglutizione, dall’apparato vescicale e intestinale e dal flusso ematico. Gradualmente si abitua anche ai suoni delle voci che sono fuori dal ventre materno. Man mano che il liquido amniotico diminuisce con l’avvicinarsi della nascita, si abitua ad ascoltare anche rumori meno ovattati.
Fin dalla nascita la relazione tra genitori e figli avviene tramite suoni con la voce che Stern definisce: “Duetti d’amore”. Intorno all’anno il linguaggio cambia e viene definito: “mammese” perché ha un tono più acuto, cantilenato e teatrale. E’ un linguaggio che accomuna tutte le mamme del mondo perché ha una funzione affettiva, attentiva e promuove la comunicazione.
Il linguaggio è un potente mezzo di relazione. Intorno ai due anni diviene un modo di relazionarsi con il bambino e raccontargli la sua vita: “Ora prendiamo la macchina e andiamo dalla nonna”. Rispettare i turni della comunicazione aiuta a sviluppare una sintonizzazione emotiva, il ritmo della relazione si scandisce quando parlo al bambino ma soprattutto quando sono in grado di ascoltarlo. L’ascolto è un modo per dirgli ti guardo, sono qui con te. Parlare al bambino è invece un modo per dirgli che è in relazione.
Come si apprende il linguaggio?
Per quanto riguarda le teorie sull’apprendimento del linguaggio. Lo psicologo Skinner sosteneva che i bambini apprendono il linguaggio, attraverso il rinforzo da parte dell’adulto alle loro prove di vocalizzazioni. Il professor Chomsky invece riteneva che il linguaggio sia una competenza innata. Il bambino ha già in seme una predisposizione ad apprendere il linguaggio e le regole grammaticali poi in relazione alla cultura a cui è esposto si modulano. Oggi la maggior parte degli studiosi condivide che entrambe le teorie possano integrarsi, poiché è vero che c’è una competenza innata nell’apprendere il linguaggio, ma allo stesso tempo questa capacità si può sviluppare efficacemente in base alle relazioni significative che il bambino intrattiene con i propri genitori o le sue figure di riferimento.
Quali sono le fasi dello sviluppo del linguaggio?
Tutti i bambini del mondo condividono lo stesso processo apprenditivo del linguaggio che va dalla lallazione alla vera e propria comunicazione.
La fase della lallazione: Prima di questa fase il bambino è in grado di alternare ascolto e vocalizzi poi intorno ai 9 mesi inizierà a ripetere suoni di sillabe: “la,la,la” “ma, ma, ma” “pa, pa, pa” questi suoni intenzionali gli consentiranno di articolare il linguaggio. Inoltre, il bambino gira la testa in direzione dei suoni o di qualcuno che parla ed è in grado di comunicare con i gesti come salutare o indicare con il dito.
Le prime parole: Intorno all’anno il bambino dice le prime parole, anche se non sono pronunciate molto chiaramente. Intorno invece ai diciotto mesi la sua abilità comunicativa diventa più efficace perché comprende di più di quanto riesca a parlare. In questa fase il bambino usa poche parole per una varietà di situazioni simili ad esempio chiama cane qualsiasi animale.
Le prime frasi si svilupperanno intorno ai due anni, il bambino cerca di unire il soggetto e il verbo per comporre le prime frasi e solitamente si arrabbia moltissimo quando si sente frustrato nel non riuscire a farsi comprendere dall’adulto.
In questo periodo molti genitori pensano che si debba insegnare al bambino a parlare, in realtà quello di cui ha bisogno il bambino è di essere immerso in un ambiente ricco di parole, è in questo modo che assorbe il linguaggio e inizierà a riprodurlo. Il linguaggio parte sempre delle esperienze che il bambino fa nel suo ambiente, all’interno del quale assume una grande importanza la qualità della comunicazione.
Il linguaggio strumento privilegiato dell’educare
Intorno ai sette anni il bambino si sente parte del linguaggio narrante della natura. Secondo lui le piante, gli animali, gli alberi insomma l’ambiente circostante parla e per questo che il bambino riesce ad apprendere meglio attraverso le favole, i racconti che personificano la realtà circostante e danno voce al suo immaginario interiore. Esse non parlano all’intelletto razionale che si svilupperà più compiutamente in fasi successive, ma faranno appello alla sua empatia per il mondo che lo circonda. E’ solo intorno al nono anno che il bambino acquisirà maggiore consapevolezza di sé e passerà dall’indiscusso mondo di regole stabilite dagli adulti al bisogno di rispetto reciproco.
Quando ci sono difficoltà
Il bambino può manifestare un disturbo espressivo del linguaggio quando non riesce ad articolare correttamente le parole, la grammatica ad esempio non sa distingue una parola tra maschile e femminile oppure non sa associare il nome all’oggetto a causa di un lessico piuttosto povero. Invece si parla di disturbo recettivo del linguaggio quando non comprende quello che gli si dice e di conseguenza fa fatica a esprimersi.
All’affacciarsi della scuola primaria il linguaggio verbale e poi scritto diventa sempre più importante. In questi anni al bambino è richiesto di fare un grande cambiamento quello di disimparare ciò che ha imparato fino a quel momento ossia che ogni oggetto rimane lo stesso anche se lo guardo da angolazioni diverse: dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, da sinistra o da destra e scoprire invece che le lettere e i numeri non hanno lo stesso significato se cambiano orientamento come: p o q oppure 25 o 52.
Per questa ragione fino circa all’età di sette anni è assolutamente normale che il bambino che sta imparando a leggere e scrivere, possa confondere l’orientamento delle lettere e dei numeri e quindi li scriva al contrario semplicemente perché la parte dell’area occipito-temporale dell’emisfero sinistro non è completamente sviluppata.
Solo con il tempo imparerà a riconoscere che la scrittura e la lettura hanno un unico orientamento ossia da destra verso sinistra.
Anche nella preadolescenza e nell’adolescenza occorre curare il linguaggio. I ragazzi e le ragazze desiderano ora esprimere le loro opinioni e i propri punti di vista.
I genitori e gli insegnanti possono aiutare l’adolescente a capire come esprimerle, come rispondere alle obiezioni, come usare un linguaggio consapevole ed empatico. Il linguaggio è un gesto interiore del pensiero e delle emozioni che poi si esprime in un gesto esteriore attraverso il linguaggio, i vissuti, il senso critico e le opinioni.
Prendersi cura del linguaggio e del suo gesto comunicativo vuol dire allora non solo sviluppare il proprio potenziale cognitivo ma anche l’intelligenza emotiva.
Giuditta Mastrototaro