Da quanto tempo ci sentiamo tristi, arrabbiati o stressati?
Quando abbiamo incominciato a sentirci travolti da quei pensieri catastrofici che albergano nella nostra testa?
Facciamo attenzione. Più affittiamo camere a questi pensieri e più questi si mettono comodi dentro di noi e ci tormentano.
Può darsi che uno stimolo esterno o qualcuno abbia innescato questo genere di pensieri che possono essere di biasimo, di colpa, di rabbia o di ansia, ma sta di fatto che più li ospitate nella vostra mente e più si autoalimentano.
Sono i pensieri come: “Avrei dovuto fare diversamente” “Non mi rispettano” “Sono stufa della mia solita vita” “Non ne faccio una giusta” ecc… Questi pensieri ci fanno apparire quello che ci succede come sbagliato o ingiusto e tutto questo provoca in noi un gran dispendio di energie vitali che ci fanno sentire stanchi o agitati.
E’ tempo di diventare amici di noi stessi, di educare la nostra mente e di sfrattare le nostre voci o immagini che ci immobilizzano o al contrario ci spingono a fare troppo, per fuggire da quello che proviamo.
La cosa più gentile che possiamo fare per noi stessi, è prendersi un po’ di tempo per ascoltarsi perché se non ci ascoltiamo i pensieri gridano più forte e non ci lasciano in pace con quel continuo chiacchierio che diventa un’abitudine mentale.
La seconda cosa è dare luce ai nostri pensieri colorandoli con l’empatia.
Empatia vuol dire non giudicare noi stessi o gli altri, vuol dire accogliere ciò che c’è proprio così com’è e collegarci ai nostri sentimenti ai nosti bisogni.
Ad esempio ci si è forata la gomma della macchina, accorgiamoci quando iniziano i pensieri catastrofici come ad esempio: “Avrei dovuto controllare meglio” “Sono una stupida” oppure “Non si è bucata da sola, avrò schiacciato qualcosa di appuntito, questa città è uno schifo” “Non ci voglio più vivere qui, sono tutti dei menefreghisti”
Quante volte ci è capitato di fare questi discorsi nella nostra testa, guardiamoli bene, osserviamo come cercano di incolpare noi stessi o gli altri. Assecondandoli diventano assoluti e sempre più catastrofici. Percepite quanta sofferenza ci portano?
Il primo passo è la consapevolezza. Appena prendiamo consapevolezza dei pensieri catastrofici, ci accorgiamo che questi iniziano a placarsi. Potremmo dire a noi stessi: “Ehi ti ho visto sofferenza, so che sei dispiaciuta per quello che mi è accaduto”. Questo è già un approccio empatico verso noi stessi. Per essere empatici occorre diventare un osservatore di noi stessi e non identificarci con l’emozione. Occorre in sostanza una certa distanza.
Il secondo passo è restare nell’emozione per un po’, non sfuggirla, non rifiutarla ma accettarla e poi entrare in connessione con le nostre aspettative e bisogni. “Avrei voluto che le cose andassero diversamente e ora ho bisogno di efficacia” ossia di risolvere la situazione.
Un passo indietro. Se di nuovo cadiamo nei pensieri catastrofici, ricominciamo il processo. Ad esempio: “Caspita proprio oggi che dovevo fare quella cosa” “Non riuscirò a farla e verrò licenziato” “Vivrò in povertà” ecc..
Fermiamoci ancora una volta e chiediamoci: Questi pensieri mi fanno bene? Cosa posso fare di diverso invece che continuare con questi pensieri catastrofici? Sono disposto a pensare in modo differente?
Allora, cogliamo l’emozione che ci sta dietro, ma non seguiamo i pensieri. Ad esempio: “Sento la paura in questi pensieri”.
Un terzo passo in avanti, siamo arrivati. Impegniamoci a far brillare i pensieri accettanti e pacifici. Facciamo ogni giorno auto empatia. Proviamo ad esempio a ritagliarsi cinque minuti ogni mattina per pensare a queste frasi: “Mi accetto così come sono” “Amo me stessa” “Ho fatto tutto quello ho saputo fare in quel momento” “Ho fiducia in me” “Ho fiducia nella mia vita che si srotola davanti a me” “Se mi è successo ciò, c’è un bene più grande per me”.
Ci vorrà tempo e una certa costanza. Quando ci sentiremo a nostro agio con questi pensieri nei momenti in cui nella nostra vita va tutto bene, potremo poi riuscire a utilizzarli quando nella nostra vita non va tutto come avremmo voluto.
Lo scopo è uscire dai pensieri automatici e guidare la nostra mente con pensieri che abbiamo scelto noi stessi.
Basta con l’interpretare ogni cosa che ci succede come una catastrofe. La felicità è una scelta, la scelta dei pensieri e dei sentimenti con cui vogliamo vivere.
Semplicemente avendo cura ed empatia per noi stessi diventeremo persone più felici ed empatiche.
La realtà alla fine è come la si interpreta e l’energia positiva che immettiamo in ogni situazione non svanisce ci tornerà in dietro. Sentiremo amore, considerazione, rispetto, fiducia ed empatia perché abbiamo smesso di giudicare e di cercarla fuori ma la produciamo noi, da dentro. In questo modo invece di chiederla, la doniamo.
Il percorso verso una versione di noi più empatica è nostra una responsabilità, di nessun’altro. Non è mai troppo tardi per coltivare pensieri pacifici e stare meglio con noi stessi e con gli altri.
Giuditta Mastrototaro
Grazie, questo è proprio il tranello in cui cade di frequente la mia mente. Ogni tanto riesco a disinnescarlo, altre volte prima di riuscirci mi ci lascio immergere e sto molto male per poi tornare a galla e allora rendermene conto e riuscire ad osservare con distanza.
Grazie Claudia per il tuo commento pieno di consapevolezza.