La relazione padre/bambino

 

Non ci interessiamo semplicemente dei nostri bambini

Ma ci prendiamo cura di loro.

Non stiamo solo lavorando per “rifocillare” la nostra famiglia

Ma stiamo lavorando per stare lì insieme a loro.

Emery Bernhard

 

 

Un tempo la figura del padre era piuttosto assente era la mamma che si occupava dei figli mentre il papà andava a lavorare. Ho sentito parecchie volte dire da mia madre: “Se non la smettete, stasera lo dico a papa!” Questa frase serviva a calmare gli animosi litigi tra me e mia sorella e nel contempo trasmetteva un immagine di padre un po’ da temere.

Oggi la famiglia e la società sono in continuo cambiamento. Non esiste un tipo di famiglia, ma tanti tipi di famiglie. Non c’è una sola figura di padre, ma con il termine padre si intende una figura che accompagna l’altro genitore nel prendersi cura del bambino. Anche l’aspetto economico dei genitori è cambiato.  Non esiste solo lavoro stabile e con orari prestabiliti, oggi abbiamo lavori in continua mobilità e con orari flessibili. Inevitabilmente questo si riflette anche sulla vita di famiglia. Abbiamo sempre più spesso genitori che si occupano a tempo pieno dei figli perché facendo i turni possono dividere a metà il tempo da dedicare loro. Per tutte queste ragioni la figura del padre è cambiata. Il papà è meno distante di un tempo sia dal punto di vista della condivisione del tempo passato insieme sia dal punto di vista affettivo.

I nostri bambini a differenza delle altre specie di cuccioli hanno bisogno di cure più a lungo e con più continuità di qualsiasi altra specie. Per queste ragioni i genitori si trovano con più assiduità e per parecchi anni a prendersi cura dei propri figli. Nella cultura psicologica la figura del padre è  stata associata alla sua funzione di portare il figlio fuori dal nido materno per imparare a stare con gli altri, affrontare le difficoltà e tirare fuori le proprie risorse. Questa importante funzione paterna si colloca come il ponte tra il bambino e il mondo, che lo sosterrà a rialzarsi dopo una caduta e a trovare modi creativi di fare da solo. La figura del padre è la persona che gioca con lui utilizzando il canale della fisicità, che gli sarà da esempio nello svolgere attività produttive e costruttive e che lo guiderà a esplorare il mondo circostante.

Diventare padre è per il genitore un processo meno istintuale e più esperienziale. Eric Fromm (1956) definisce la relazione padre e figlio come un “rapporto spirituale” ossia che non è dettata dall’istinto ma dalla costruzione del legame. Infatti, molto spesso la figura paterna sente di essere diventato padre molto tempo dopo il concepimento e la nascita. Molti papà sentono fisicamente l’affacciarsi della nuova vita solo quando possono abbracciare, cullare, accarezzare e giocare con il proprio bimbo. A differenza delle madri i padri non sembrano preoccupati per non provare immediatamente amore per i propri figli, i padri hanno forse meno aspettative e considerano la paternità un processo  graduale. A questo proposito Donald Winnicott in una trasmissione radiofonica dice: “Anche i padri avvertono talvolta il problema di non provare amore per i figli appena nati, ma probabilmente accettano questo fatto senza particolari difficoltà e si limitano ad aspettare che l’amore sopravvenga naturalmente”.

Assistiamo oggi a un coinvolgimento sempre più precoce della figura del padre attraverso la partecipazione ai corsi pre-parto, alla sua presenza durante il travaglio e la nascita. Si è diffusa l’idea che iniziare il più presto possibile un rapporto con proprio figlio sia un elemento importante per costruire la relazione con lui. Effettivamente condividere con il padre questi delicati momenti come le visite, il corso pre-parto e la nascita rendono la coppia più affiatata e partecipe uno della vita dell’altro e insieme testimoni dell’affacciarsi di una nuova creatura con tutte le aspettative e i sogni con cui ogni bambino nasce.

Il padre può offrire alla madre quella presenza accogliente e rassicurante che le consentirà di vivere quello che in psicologia è definita “regressione materna” ossia la capacità della madre di mettersi nei “panni” del bambino per rispondergli efficacemente. Il padre che saprà prendersi cura della madre la aiuterà a sentirsi meno vulnerabile e capace di occuparsi del suo bambino con empatia.

La relazione padre bambino si costituirà gradualmente. Questa relazione può essere incoraggiata lasciando che il padre si occupi del bambino cullandolo, cantando per lui e massaggiandolo.  A questo proposito Vimala Mc Clure dice: “L’effetto più importante che si ottiene con un massaggio costante tra un padre e il suo bambino è l’approfondimento del bonding”. La figura paterna può essere un valido aiuto pratico anche cambiandogli il pannolino o facendogli il bagnetto. La cosa importante è non aspettarsi che svolga i suoi compiti paterni come li farebbe sua madre, ma occorrerà da parte della sua patner dargli fiducia e lasciargli lo spazio per sperimentare e trovare un suo modo di entrare in relazione con il bambino. La vicinanza fisica, il contatto corporeo saranno il veicolo per attivare l’ossitocina che è quell’ormone alla base di tutti rapporti umani basati sull’amore e la vicinanza affettiva.

In conclusione la figura del padre è un concetto astratto che può declinarsi in tanti modi diversi quante sono le famiglie che ci sono nella nostra società. Per crescere un bambino ci vuole un villaggio diceva un vecchio detto africano e la cosa importante è che ad accompagnare il genitore accudente ci sia una figura in ascolto, accogliente e capace di farsi coinvolgere dagli occhi che lo guardano, dalle manine che lo cercano e dalla voce di suo figlio quando gli chiederà: “Giochi con me?”.

Giuditta Mastrototaro

Bibliografia:

Donald Winnicott. Colloqui con i genitori. Raffello Cortina Editore. Milano 1993.

Jack Heinowitz. Il papà incinto. Bonomi Editore. Pavia 2000

Giuditta Mastrototaro. Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Steetlib. Milano 2015

Vimala Mc Clure. Il massaggio del bambino. Bonomi Editore. Pavia 2001.