Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva

Non possiamo crescere un figlio senza crescere noi stessi.

Quante volte vi capita di vivere momenti faticosi con i vostri figli? Cercate magari di spiegare loro che per fare una determinata cosa occorre aspettare o che quella cosa non si può fare e subito dopo avete la sensazione di non sentirvi ascolati.

E’ proprio in questi momenti che ci si può arrabbiare e magari si alza la voce oppure ci si rattrista perchè non si sa bene come gestire la situazione. L’intelligenza emotiva è una competenza umana che ci aiuta a renderci comprensibili al mondo dell’altro. Se non parto dall’altro ad esempio da come il bambino sente e vede il mondo, come faccio ad aspettarmi che comprenda quello che voglio trasmettergli?

Goleman ha divulgato il concetto d’intelligenza emotiva partendo dagli studi delle neuroscienze. Sviluppare le competenze intellettive non è sufficiente, occorre sviluppare appunto l’intelligenza emotiva per vivere felici e avere successo nella vita. Ecco le parole dell’autore: “Nessuna intelligenza è più importante di quella interpersonale. Se non ne avete, prendete la decisione sbagliata riguardo alla persona da sposare, il lavoro da fare e così via. Dobbiamo addestrare già a scuola le intelligenze personali”.

I bambini fin dalla nascita desiderano stare in contatto con tutto quello che evoca in loro il piacere fisico ed emotivo, di un pancino pieno o del contatto pelle a pelle e rifuggono da tutto ciò che è legato a sensazioni sgradevoli, come la paura di essere lasciati soli. Questi bisogni sono strettamente collegati alle funzionalità del cervello primitivo ed emotivo. Si potrebbe vedere una certa analogia tra l’evoluzione dell’uomo – da primitivo a moderno – e lo sviluppo del bambino. Il bambino fino all’anno d’età è governato dalla parte più emotiva del cervello, quella che lo spinge alla sopravvivenza: cibo, calore, affetto e sicurezza. Gradualmente i nostri due cervelli quello primitivo che si trova nella parte inferiore s’integrerà con le funzionalità della parte superiore del cervello formato dai due emisferi: destro (pensiero creativo e immaginativo) e sinistro (pensiero verbale e analitico).

E’ spesso inefficace spiegare a un bambino fino circa all’anno e mezzo d’età, con argomentazioni razionali cosa ci si aspetta da lui, non potrebbe capirci. Gradualmente con lo sviluppo inizia anche ad attingere alle sue competenze più verbali, logiche, razionali e simboliche. Ecco che la parola,- inizialmente proprio una per volta –  diventa strumento comunicativo.

Anche nelle successive fasi di crescita sarà inevitabile fare esperienza di un bambino che non ascolta il linguaggio verbale quando qualcosa o qualcuno si opporrà a ciò che lui desidera, ecco che il suo cervello primitivo riprenderà il sopravvento. Goleman definisce questo stato emotivo “sequestro emozionale” ossia di fronte ad uno stimolo che può essere per il bambino piccolo la fame e per un bambino più grande ad esempio un “no” detto dal genitore, urla, piange, muove con veemenza braccia e gambe. In questi frangenti lui si ritroverà immerso in una scarica di adrenalina, catecolamine e altri ormoni che lo porteranno a reagire intensamente. In sostanza, il suo cervello istintuale-primitivo prende il sopravvento sulla parte logica e verbale.

Essere empatici in questi momenti aiuta perché se reagiamo a nostra volta, non siamo più parte della soluzione ma diventiamo parte del problema relazionale.  

Ecco le domande che possono invece aiutarci a sviluppare un’intelligenza emotiva per essere d’aiuto anche ai nostri figli:

  • Che cosa provo nel momento in cui il bambino esprime tutta la sua rabbia o la sua frustrazione?
  • Come posso aiutarlo a calmare la reazione di questo momento?
  • Riesco a riconoscere quando mio figlio è sopraffatto dalle sue emozioni come l’angoscia, la rabbia e la frustrazione, senza esserne contagiato io stesso?

Secondo l’autore l’intelligenza emotiva è costituita da almeno quattro competenze che occorre sviluppare: conoscere e gestire le proprie emozioni, motivare se stessi, riconoscere le emozioni altrui, saper entrare in relazione.  Ecco qualche riflessione che può aiutarci a svilupparle con nostri bambini:

  • L’empatia è proprio quella competenza che aiuta a leggere le emozioni. Come genitori siamo chiamati a stare dalla parte dei nostri figli e delle loro emozioni. Di fronte ad una scatola vuota di biscotti che il bambino vuole mangiare, non aiuta dire: “Smettila di fare tutte queste frigne” o far finta di niente, lasciandolo solo con la sua frustrazione. A volte è più utile raccontare a tuo figlio la sua vita. “Oh no! dove sono finiti i biscotti? Non ce ne sono più, è davvero brutta questa cosa e ci credo che sei proprio arrabbiato perché volevi mangiare i biscotti ed invece sono finiti”. E’ molto difficile arrabbiarsi violentemente quando qualcuno è dalla nostra parte. Allo stesso modo invece di interrogare il bambino su com’è andata a scuola per carpire i suoi vissuti a volte è meglio partire da noi stessi, raccontando la nostra storia o giornata e i nostri sentimenti e aspettare che lui voglia raccontare la sua.
  • Sviluppare la capacità di auto motivazione. Quando un bambino nonostante gli diciamo di non fare quella cosa, la fa lo stesso, ricordiamoci che sta imparando la capacità di perseguire i suoi obiettivi, questa competenza gli sarà molto utile nella vita. Occorrerà quindi come genitori trovare un equilibrio tra il lasciar andare e il trattenere. Non affanniamoci in continuazione per dirgli cosa deve fare: “Non ti sporcare” “Non correre” oppure come lo deve fare, cerchiamo invece di dire pochi “no” e quando riteniamo che sia davvero necessario, perché il bambino si senta libero di ascoltare se stesso e i propri interessi.
  • Riconoscere e gestire gli impulsi. Ci sono impulsi fisici come fare la cacca o la pipì che un bambino impara gradualmente a gestire: prima sarà consapevole dello stimolo e poi gradualmente sarà in grado di controllarlo. Allo stesso modo ci sono gli impulsi emotivi che hanno bisogno di gradualità per essere rielaborati ad esempio: se il bambino in preda alla collera sbraccia e picchia il genitore, potremmo renderlo partecipe che ci sta facendo male, dirgli chiaramente che non ci piace e fermarlo prendendogli la mano, fin quando non sarà in grado di gestire questo impulso da solo. Anche quando sarà più grande e si misurerà con la scuola il saper gestire i propri impulsi come rinviare le gratificazioni, sapersi concentrare, regolare le proprie emozioni per non scoraggiarsi quando un compito non è facilmente comprensibile, sono elementi importanti per il successo apprenditivo.
  • Sviluppare la resilienza. E’ naturale e sano che i bambini si scontrino con i limiti e altrettanto naturale e sano che provino rabbia, frustrazione. Quando ciò si verifica, il nostro istinto come genitori è quello di proteggerli, ma non ci sarà sempre possibile: un ginocchio sbucciato o non poter mangiare tutte le caramelle che ci sono nel barattolo, fa parte delle esperienze del limite. Anche in questi frangenti possiamo essere empatici per quello che sente, restare lì in quel momento, sostare nella delusione e allo stesso tempo essere come una guida che indica il pericolo e che rimane ferma davanti al cartello che dice: che verso quel sentiero non si può proprio andare. Quando invece l’esperienza che sta vivendo il bambino è per lui davvero traumatica, occorre essere flessibili: gli stress emotivi possono tradursi in immagini che si imprimono nella mente che vengono fuori negli incubi notturni oppure dar vita a paure terrorizzanti. Ciò che possiamo fare, in questi casi, è lasciare che il piccoli esprima le immagini che probabilmente ha registrato dentro di sé per aiutarlo a descriverle tramite il linguaggio verbale quando è possibile, ma anche il disegno può essere un valido strumento o il gioco simbolico del “far finta”.  Riuscire a tirare fuori il proprio vissuto gli permetterà di rielaborare l’evento traumatico e lo aiuterà ad acquisire resilienza ossia la fiducia in se stesso e nelle proprie risorse per ritrovare un nuovo equilibrio.
  • Accrescere le competenze relazionali. Queste competenze possono essere definite come la capacità empatica di comprendere gli altri, di raggiungere accordi rispettosi dei bisogni di ognuno, di creare connessioni positive, essere consapevoli delle proprie emozioni ed esprimerle in modo assertivo. Si apprendono dall’esempio dei genitori, dal loro modo di porsi di fronte alle difficoltà e dal loro modo di gestire le emozioni forti; è per questo che risulta sempre più importante, curare la propria crescita personale per essere una valida guida educativa. Le competenze relazionali si apprendono anche nelle relazioni con i compagni, gli amici, le insegnanti ecc. Ogni volta che il bambino è inserito in un nuovo contesto sociale accresce e ristruttura le competenze apprese in precedenza, quindi è importante cercare di coltivare ambienti che siano a misura del proprio bambino.

In conclusione, se ci sta a cuore lo sviluppo dell’intelligenza del bambino ricordiamoci che non è sufficiente valutare il QI (Quoziente intellettivo) ricavato da un test standardizzato occorre accompagnarlo a sviluppare anche un’intelligenza emotiva che può permettergli di vivere una vita felice nelle sue relazioni. Questo sviluppo della persona nella sua interezza è un’avventura che può essere conquistata giorno per giorno insieme a lui.

Giuditta Mastrototaro

Articolo uscito su UPPA