Gestire lo stress a scuola

In una favola di Leo Lionni, Federico(2012), l’autore racconta di un topo guardato da tutti con rimprovero perché a differenza degli altri topi che si danno un gran da fare per accumulare frutta e legnetti per l’inverno, Federico guarda incantato la natura e contempla i fiori, le foglie e gli alberi con i loro colori e il danzare delle nuvole nel cielo.

Verso la  metà dell’inverno le provviste finiscono. I topi, stretti l’uno all’altro, non sanno come attraversare quei momenti di fame e di freddo.

Federico allora inizia a raccontare le storie e le immagini di cui ha fatto scorta, mentre non si avevano per lui che sguardi di biasimo.

Le parole di Federico scaldano il cuore, sfamano gli animi e portano gioia.

Ai topi non resta che ringraziarlo in coro. Federico risponde : “Non voglio applausi, non merito alloro, ognuno in fondo fa il proprio lavoro”.

C’è qualcosa, in questa favola che ci consente di ripensare all’arte di insegnare e di apprendere due azioni che si giocano nello stesso spazio relazionale: fisico, mentale ed emotivo. Quando in questi spazi non stiamo bene ecco che affiora lo stress.

Troppo spesso interveniamo troppo nella relazione apprendimento/insegnamento per far andare le cose come ci siamo prestabiliti, nella nostra testa oppure per rispettare, programmi, tabelle di marcia stabilite dall’esterno. Anche questo genera stress.

Quando invece partiamo dalla consapevolezza che ognuno fa il meglio che sa fare in quel momento, tutto si armonizza proprio come accade nella favola di Lionni.

La scuola non importa quale sia: statale, comunale, privata o parentale  ha il compito di mostrarci la dimensione plurale dell’esistenza: dove ogni bambino o ragazzo possa sentirsi unico e non parte di un gregge, dove possa rielaborare quanto appreso con strategie differenti e interpretazioni personali.

E’ proprio John Dewey in democrazia e educazione (1992) che ci dice che quando si forniscono le condizioni che stimolano il pensiero e si creano relazioni costruttive e cooperative si promuove l’apprendimento.

Per realizzare tutto ciò occorre a mio avviso un approccio pedagogico differente: dove sia realmente possibile dare tempo ad ogni persona di rispettare i suoi tempi, dove la relazione con l’educatore, il maestro o il docente sia individuale oltre che all’interno di un gruppo e lo spazio sia pensato per offrire esperienze di apprendimento da svolgere in autonomia, capaci di promuovere l’autovalutazione e la metacognizione del proprio processo di sviluppo e di apprendimento.

Una scuola nella quale ogni bambino e ragazzo possa imparare attraverso autoapprendimenti e co-apprendimenti e non soltanto attraverso apprendimenti etero diretti. Senza dimenticare il ruolo che ha il gioco in ogni fascia d’età come ad esempio il gioco di finzione nei primi anni di vita al roleplaying quando sono più grandi.

Ricordiamoci sempre che gli alunni non imparano dai manuali ma dal modello che noi adulti siamo in grado di trasmettere nel modo di stare, lavorare, discutere e ricercare insieme.

Così lo scopo dell’insegnamento non è produrre apprendimento ma produrre condizioni di apprendimento. Sarebbe bello a mio avviso proseguire l’approccio pedagogico di Reggio Emilia di Loris Malaguzzi che ha avauto una risonanza in tutto il mondo, con i suoi cento linguaggi dei bambini  o di Gardner con l’approccio delle intelligenze multiple. In tal senso vi sarebbe una scuola fatta di atelier e di laboratori dove l’insegnante è dietro ai suoi  studenti non davanti a loro.

In questo modo sono i bambini e i ragazzi a influenzare l’esperienza didattico educativa piuttosto che esserne influenzati.

Il ruolo dell’insegnante in questa ottica cambia. L’insegnante non è più colui che detta i tempi uguali per tutti ma fa empowerment e diventa come diceva il filosofo Socrate un’ostetrica spirituale, in grado di tirare fuori le potenzialità dei suoi discenti. Il maestro non è altro che il tramite che crea quel ponte tra il sapere, il saper fare e il saper essere.

Socrate ci dice anche che nella formazione dell’insegnante c’è il rapporto con il vuoto, con l’esperienza del limite, con la caduta e con le domande infinite.

E’ proprio quando arriva quel momento in cui l’insegnante sente la sua voce farsi vuota e i suoi ragazzi che non lo seguono più, che occorre il coraggio per guardarli negli occhi e ritrovare una relazione con loro. Ripartire da questo inciampo.

Nella nostra società tutti hanno la presunzione di criticare gli insegnanti anche coloro che non hanno mai insegnato.

Non si può insegnare e non si può imparare se non c’è un clima fatto di fiducia e di responsabilità reciproca di tutta la comunità educante!

Educare è un’arte nella quale contribuiscono non solo gli educatori e gli insegnanti ma anche i genitori, i pedagogisti, le strutture educative, la società tutta. Tutte le esperienze contribuiscono all’educazione. Educare è una scommessa nel futuro.

Ogni mattina molte emozioni, sentimenti e bisogni si mescolano in una circolarità contagiosa.

Per questa ragione è importante avere cura delle relazioni perchè sia chi insegna sia chi apprende lavora con il proprio sentire, con la propria vulnerabilità e fallibilità. In sostanza un percorso che non può essere lineare ma è fatto di battute di arresto e di nuovi equilibri.

Senza empatia non può esserci un apprendiemento significativo, può esserci solo la paura di sbagliare, l’ansia, la rinuncia e la sofferenza emotiva. L’empatia è la chiave che apre la porta al rispetto reciproco e crea quel clima fertile ad ogni processo di crescita, di sviluppo e di apprendimento.

 

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia per approfondire

De La Garanderie, A. (1991). I profili pedagogici: scoprire le attitudini scolastiche (P. Moruzzi, Trad). Scandicci (FI): La Nuova Italia.

Dewey, J. (1992). Democrazia e educazione. Una introduzione alla filosofia dell’educazione (E. Agnoletti, P. Paduano, Trad). Milano:  La Nuova Italia.

Edwards C., Gandini L., Forman G. (2017). I cento linguaggi dei bambini” L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia. Edizioni Junior.

Franta, H. Colasanti, A.R. (1991). L’arte dell’incoraggiamento: insegnamento e personalità degli allievi. Roma:  La Nuova Italia Scientifica.

Gardner H. (2005). Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento. Milano: Feltrinelli.

Gordon, T. (2013). Insegnanti Efficaci (N. Lilla, Trad.). Firenze: Giunti

Hart, S. Kindle Hodson, V. (2014). A scuola con empatia. Didattica e apprendimento basati sulle relazioni (F. Rossi, Trad.). Reggio Emilia: Edizioni Esserci.

Ianes, D. (2010). Bisogni educativi speciali e inclusione: valutare tutte le reali necessità e attivare tutte le risorse. Trento: Erickson.

Lionni, L. (2012). Federico.  Milano: Babalibri.

Malaguzzi L. et al. (1996). I cento linguaggi dei bambini. Narrativa del possibile. Reggio Children, Reggio Emilia

Mastrototaro, G. (2015). Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica. Milano: streetlib.

Maslow, A. (2010). Motivazione e personalità (E. Riverso, Trad.). Roma: Armando Editore.

Montessori, M. (1992). Come educare il potenziale umano. Milano: Garzanti Editore.

Steinberg, D. M. (2002). L’auto/mutuo aiuto (P. Boccagni, Trad.). Trento: Erickson.

Steiner, R. (2013). Arte dell’educare arte del vivere: fondamenti di pedagogia (L. Diena, Trad.). Milano: Rudolf Steiner.

Tuffanelli, L., Ianes, D. (2003). Formare una testa ben fatta: Edgar Morin entra in classe: giochi di ruolo e didattica per problemi. Trento: Erickson.

UE- Il nuovo Life Comp Framework  for Personal. Social and Learning to Learn Key Competence (2020).

Vianello, R. (2012). Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici. Trento: Erickson.

Vygotskij, L. S. (2006). Psicologia pedagogica: manuale di psicologia applicata all’insegnamento e all’educazione (M.S. Vegetti, Trad.). Trento: Erickson.