Il dialogo empatico a scuola

A scuola, al lavoro, a casa, in tutte le relazioni è molto importante avere cura del clima emotivo perché è contagioso. Infatti, se qualcuno ad esempio è arrabbiato anche gli altri membri potrebbero sentirsi a disagio. Per poter vivere serenamente insieme occorre allora assicurarsi che ogni persona del gruppo si senta ascoltata  e le sia data l’opportunità di avere un buon dialogo con tutti.

Sia nell’ascolto sia nella dialogicità il focus è centrato sull’empowerment ossia la fiducia nella persona che è la miglior esperta dei suoi problemi e attraverso l’ ascolto e il dialogo può trovare le proprie risorse interiori per risolvere i suoi disagi.

Il dialogo quanto l’ascolto è molto importante perchè ci aiutano a spostare l’attenzione dal prodotto al processo.

Il dialogo tende a rinforzare i legami, creando un senso di responsabilità reciproca dove il benessere di ciascuno influisce sul benessere di tutti. Questo comporta accettare il rischio dell’incertezza che si apre alle molteplici sfide cui siamo chiamati ogni giorno, nel ruolo di dirigente scolastico, docente o studente, avendo il coraggio di uscire dalla nostra zona di comfort perchè lo stare in una zona di sicurezza ci porta a dire sempre le stesse cose, a reagire sempre allo stesso modo, invece di aprirci nuove modalità di dialogo.

E’ importante cambiare il modo con cui ci relazioniamo,  soprattutto quando le relazioni non funzionano. Occorre creare un dialogo che ci porti a lavorare con gli altri anche quando le modalità sono diverse.

I dialoghi non hanno l’intenzione di portare l’altro dove vogliamo noi, cercando di persuaderlo o convincerlo ma offrono uno spazio per ascoltare meglio i punti di vista reciproci, per generare un linguaggio condiviso e per connettere le risorse.

A scuola lavorando per compartimenti stagni invece ci si impoverisce, si perdono gli stimoli creativi e non si ha l’opportunità di crescere.

Una scuola dialogica allora sa ascoltare, rendersi consapevole dei bisogni di ogni studente e studentessa come di ogni professore o educatrice.

L’insegnante e l’educatore lavorano in quella zona di sviluppo prossimale come definita da Vygotskij (2006) attraverso dialoghi relazionali partendo da quello che sa lo studente per arrivare a quello che può imparare. Nel dialogo si diventa soggetti anziché oggetti.

Il dialogo favorisce la soluzione alle preoccupazioni e ai problemi in modo creativo.  Il rischio di non avere un approccio dialogico è quello di avere delle relazioni strategiche dove si cerca di prendere il controllo della situazione, tentando di dirigere il modo in cui gli altri pensano e agiscono e magari dispensando consigli.  Al cuore di questa visione vi è il presupposto che l’altro dovrebbe vedere e agire in un certo modo che è poi il nostro.

Quando come insegnanti ogni giorno ci confrontiamo con gli studenti, tra colleghi o con i genitori anziché dire quale sia il problema degli altri, possiamo imparare a comunicare in prima persona e spiegare qual è il nostro problema riguardo alla situazione. Ad es. invece di dire ai genitori: “Vostro figlio non si impegna, non ha voglia di studiare ecc..” possiamo dire: “Ho osservato Giovannino che faceva x e y, ho provato z e w per aiutarlo; tuttavia, non ho ottenuto i risultati sperati. Sono preoccupato, ho bisogno di supporto, volete provare a mettere in comune le vostre esperienze in merito al tema dell’impegno?” La chiave è che abbiamo tutti l’opportunità di lavorare insieme in un’azione congiunta.

Nel dialogo tutti imparano da tutti perché non c’è nessuno talmente ricco da poter solo dare o talmente povero da poter solo ricevere, ma mettendo in moto un pensiero comune ogni persona si arricchisce di prospettive altre.

Secondo Jaakko  Seikkula ed Erik Arnkil (2012) per improntare le relazioni in modo dialogico ed empatico vuol dire:

–       Porre domande aperte perché permettono di pensare insieme. Ad esempio: “Cosa ne pensi riguado a…” “Cosa ti impedisce di…” “Come affronteresti la cosa se…”. Invece spesso usiamo domande chiuse ad esempio: “Hai fatto i compiti?” “Ti sembra il  modo di comportati?” Se ci sono risposte giuste, non c’è un vero bisogno di pensare insieme.

–       Lasciare spazio ai sentimenti senza aver paura delle emozioni. Ad esempio: “Quando ti osservo dodolarti sulla sedia mi sembri molto agitato…” “Appena ti ho consegnato il compito in classe mi sei sembrato preoccupato…” Creare un clima accogliente e lasciare che ognuno impari ad osservare le proprie emozioni è una competenza importante per riuscire a stare bene con se stessi e con gli altri.

–       Partire dalle parole dell’altro, utilizzare il rispecchiamento, la riformulazione per dare sempre una risposta e un feedback. Ad esempio: “Quando dici che non ti importa di essere andato male nella verifica forse ti senti impotente e hai bisogno di leggerezza e di non pensarci in questo momento?”

–       Empatizzare con l’altro ponendo attenzione alle voci polifoniche che ognuno ha dentro di sè. Ad esempio: “Quando ti dico questo come ti senti?” “Mi sembra di capire che c’è una parte di te che pensa una cosa e l’altra invece…”

–       Favorire dialoghi riflessivi per condividere le sollecitazioni che le parole dell’altro evocano in ogni membro del gruppo. Ad esempio: “Cosa ne pensate riguardo all’argomento che abbiamo trattato oggi?”

–       Non fornire consigli, suggerimenti, soluzione ai problemi personalli ma accompagnare le persone a mettere a fuoco le loro preoccupazioni, ad averne consapevolezza e a considerarle da altri punti di vista. Ad esempio: “Non so più cosa fare con mio figlio”. Il docente potrebbe rispondere: “Si sente scoraggiata e preoccupata riguardo la situazione che sta vivendo” ” Ci sono altri punti di vista con cui potrebbe guardare alla questione?”

–       Facilitare la comunicazione in prima persona, dove ognuno parla a partire da sé. Quindi evitare di dire: ” (Tu)Non devi copiare durante i compiti in classe!” ma provare a dire: “Quando (Io) mi sono accorta che avevi copiato durante il compito in classe mi sono sentita amareggiata perchè ho bisogno di rispetto, onestà e fiducia nei miei studenti”

–       Non aver paura delle pause e del silenzio perché sono momenti preziosi per sintonizzarsi con noi stessi e con l’altro. A volte il silenzio parla più di mille parole.

Il dialogo empatico è un modo di essere, insito in ognuno di noi, che si basa sull’ascolto, la fiducia e l’empatia.

Giuditta Mastrototaro

 

 

 

 

 

 

Bibliografia per approfondire:

Arnkil, T.E., Seikkula, J., (2012). Metodi dialogici nel lavoro di rete. Per la psicoterapia di gruppo, il servizio sociale e la didattica (M. Largaiolli, Trad.). Trento: Erickson.

Ausubel D.P. (1968). Educational psychology. A cognitive view. New York: Holt Rinehart and Winston.

Bauman, Z. (2002). La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza. (pp. 104-105). Bologna: Il Mulino.

Bruner, J. (1997). La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti per la scuola (L. Cornalba, Trad.). Milano: Feltrinelli.

Coleman, J. (1980). The nature of adolescence. London: Methuen.

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Bateson, G. (2000). Verso un’ecologia della mente (G. Longo e G. Trautteur, Trad.). Milano: Adelphi, 2000.

Briggs, B. (2014). Guida pratica alla facilitazione e al metodo del consenso. Firenze: Terra Nuova.

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De La Garanderie, A. (1991). I profili pedagogici: scoprire le attitudini scolastiche (P. Moruzzi, Trad). Scandicci (FI): La Nuova Italia.

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Dewey, J. (1992). Democrazia e educazione. Una introduzione alla filosofia dell’educazione (E. Agnoletti, P. Paduano, Trad). Milano:  La Nuova Italia.

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