Quando si perde un bambino e la forza della resilienza

 

Il dolore riempie la stanza dell’assenza

di mio figlio,

dorme nel suo letto,

cammina su e giù con me,

indossa il suo bell’aspetto,

ripete le sue parole,

mi ricorda tutte le sue parti belle,

riempie con la sua forma i suoi abiti vuoti.

(William Shakespeare, Re Giovanni)

Di fronte ad un evento traumatico come l’interruzione di una gravidanza o la perdita di un bambino il nostro corpo ha delle reazioni fisiche e psichiche. La resilienza è una capacità che si attiva quando troviamo nuove chiavi interpretative a ciò che ci accade e quando riusciamo ad attivare relazioni “buone” che ci nutrono e che stimolano in noi un’accettazione ed un’empatia capace di liberarci da un passato doloroso.

La resilienza è proprio questo: la capacità di far fronte alle difficoltà della vita e al dolore utilizzando le proprie risorse interne e esterne che ci aiutano a ristabilire l’equilibrio che è stato sconvolto da eventi traumatici. Senza resilienza si corre il rischio di rimanere imprigionati in una vita piena di dolore.

Esprime molto bene questo concetto dell’importanza dei legami nella resilienza Sylvie Hetu (convegno Aimi a Torino il 7/8 maggio2015) spiega che quando nasciamo abbiamo molti neuroni, ma saranno sviluppate solo quelle aree del cervello che sono maggiormente sollecitate. Questo sviluppo delle aree cerebrali avviene grazie alla mielinizzazione. La mielina possiamo definirla  semplificando come quello strato di grasso su cui viaggiano gli stimoli nervosi.

Ogni esperienza crea dei circuiti che illuminano il cervello. I bambini trascurati hanno dei buchi neri nel cervello. La cura e l’amore per i propri bambini nel tempo creano un percorso privilegiato di esperienza di “tocco buono” che nutre. Queste esperienze relazionali nutrienti divengono il luogo a cui ritornare nei momenti di difficoltà.

Il nostro cervello alla nascita è come un bosco incontaminato, il sentiero che si formerà in quel bosco saranno tutte le esperienze ripetute con cui si viene a contatto. Se privilegiamo nel bambino un cammino fatto di comprensione per i suoi vissuti ed empatia, gradualmente si formerà quella parte illuminata del cervello come risorsa relazionale “buona”, cui poter attingere ogni volta che ne sentirà il bisogno per ritrovare ascolto, rispetto e amore.

La resilienza è spesso legata al doppio filo della vita e della morte, della speranza o della perdita, della luce delle sinapsi neuronali o al buio. Per perdita possiamo intendere, l’evento concreto del lutto o la perdita di una parte di noi stessi, di una parte della nostra identità, in cui viene segnato inevitabilmente un prima e un dopo.

La perdita ci porta sempre a interrogarci sui perché, trasforma il significato della nostra vita e a vivere scroscianti emozioni che assumono diversi colori dall’incredulità alla rabbia al dolore, fino alla rielaborazione attraverso la resilienza che ci conduce verso nuovi equilibri, nuovi mondi interpretativi, nuovi adattamenti e una nuova crescita.

La perdita di un bambino è quel passaggio evolutivo che segna un prima e un dopo.  Siamo cambiati noi e il modo in cui interpretiamo il nostro mondo, segna una linea di confine da come eravamo prima a come siamo oggi, abbiamo attivato tutta l’empatia e le risorse interne ed esterne che avevamo, per aprirci nuovamente alla vita ad una più matura identità.

L’esperienza della resilienza è stata per me la capacità di restare ancorata a me stessa, quando la casa del mio cuore era sotto una tempesta di dolore, di sofferenza e di dramma interiore.  La morte del mio adorato figlioletto di sei mesi Mattia  mi ha scaraventato contro le pareti della mia casa vuota e la pioggia delle mie lacrime mi ha sbattuto per terra senza tregua.

La forza della resilienza è stata per me l’aver ritrovato le mie risorse interne, la consapevolezza dei miei sentimenti e l’accoglienza dei miei bisogni frustrati di madre e di persona. L’incredulità, la rabbia e il dolore hanno bussato alla porta del mio cuore, ma anche la compassione e la mano tesa di tante persone e i legami significativi mi hanno aiutato a rialzarmi.

La perdita è una sofferenza grande nella vita di ogni persona e allo stesso tempo un momento di grande consapevolezza che tutto ciò che abbiamo non ci è dovuto, ma che le cose accadono e possiamo scegliere con il tempo come volerle rielaborare.

Affrontare una situazione traumatica è possibile passando dal concetto di dover subire la situazione al concetto di scegliere di vivere la situazione, dal sentirsi vittima all’essere capace e dal concetto di sfiducia a quello di speranza e fiducia. Tornare a quella che Bowlby definisce la “base sicura” è il punto fermo che può aiutarci quando nello scorrere del fiume della vita veniamo scaraventati sulle rocce. La base sicura è quel lembo di terra a cui aggraparsi nei momenti in cui abbiamo bisogno di conforto, sicurezza, amore e fiducia.

Qualunque perdita del nostro equilibrio interno ci sprona a cercare di dare un senso a ciò che ci è accaduto, a donare un significato alla nostra esperienza e alla nostra vita, a passare dalle domande: “Perché a me ?” “Di chi è la colpa?” a prenderci carico dei nostri sentimenti e dei nostri bisogni. Le esperienze di resilienza divengono così risorsa cui attingere nei momenti in cui ne sentiamo il bisogno, creano in noi quel sentiero illuminato fatto di  fiducia e di speranza. Così da riuscire a trasformare il dolore in empatia e amore per se stessi e per gli altri.

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia:

Atti del Convegno Aimi sulla resilienza 7/8 maggio 2016 a Torino

Cheri Huber, Tu sei quello fai: inizia a vivere la vita che vuoi, Mondadori, Milano, 2014.

Holly Michelle Eckert, Liberarsi dal senso di colpa: sei passi per riappropriarsi della propria vita, Edizione Esserci, Reggio Emilia, 2011.

Marshall B. Rosenberg, Parlare Pace: quello che dici può cambiare il tuo mondo, Edizione esserci, Reggio Emilia, 2006.