Quando si perde un bambino: come rielaborare il lutto

Il dolore riempie la stanza dell’assenza

di mio figlio,

dorme nel suo letto,

cammina su e giù con me,

indossa il suo bell’aspetto,

ripete le sue parole,

mi ricorda tutte le sue parti belle,

riempie con la sua forma i suoi abiti vuoti.

(William Shakespeare, Re Giovanni)

Dedicato a mio figlio Mattia morto a sei mesi di vita.

E a tutti i genitori in lutto.

 

Di fronte ad un evento traumatico come l’interruzione di una gravidanza o la perdita di un bambino il nostro corpo ha delle reazioni fisiche e psichiche.

“Arresto cardiocircolatorio” di fronte a queste parole il freddo pervase la stanza come una nebbia azzurrognola che entrava da sotto la porta e riempiva gli occhi offuscando la vista. Le gambe non reggono e si accasciano verso il basso in posizione fetale. La pioggia delle lacrime colpisce come gradine appuntita su tutto il corpo. I giorni passano e le persone vengono a trovarti, ne avverti vagamente la presenza perché sei dentro un inferno interiore e puoi accorgerti giorni dopo del loro passaggio perché vedi il cimitero di bicchieri che hanno lasciato e la sagoma vuota del loro corpo impressa sul divano. L’incredulità, la rabbia e il dolore bussano alla porta del tuo cuore, ma anche la compassione e la mano tesa di tante persone e i legami significativi che possono aiutarti a rialzarti perché l’amore è più forte del dolore.

E’ sorprendente accorgersi che mentre per chi rimane senza madre si dice che è orfano o per chi rimane senza marito o moglie si dice che è vedova o vedovo e invece per un genitore che perde un bambino, non esiste neanche un nome, forse non è nominabile, non è concepibile che un genitore sopravviva al proprio figlio.

Purtroppo non sempre nelle esperienze relazionali si trova conforto e aiuto. Spesso anche le persone attorno al lutto si sentono fortemente chiamati in causa di fronte a tanto dolore e per questo che si esprimono con alcune frasi come : “Il signore da le croci a chi le può sostenere”, “In Africa muoiono milioni di bambini” oppure “Passerà vedrai” “Perché non fai un altro figlio?” .

Queste sono alcune delle frasi che non sono d’aiuto per chi sta vivendo un lutto perché sono tutti modi per non ascoltare l’altro, ma nelle quali si è centrati su se stessi e su cosa si prova di fronte al lutto, è come se l’interlocutore cercasse di proteggersi dalla sofferenza minimizzandola oppure risolvendola. Queste frasi non mostrano empatia per i genitori anzi spesso sono l’espressione di una cultura poco rispettosa dei bambini anche nella tragica situazione del lutto, perché credo che a nessuna vedova o orfano si potrebbe dire: “Perché non prendi un altro marito o perché non ti trovi un’altra mamma”. Le persone non sono sostituibili grandi o piccole che siano.

Invece per i genitori la perdita di un bambino è quel passaggio evolutivo che segna un prima e un dopo. Non sarai mai più come prima, sei cambiata tu e il modo in cui interpreti il mondo, segna una linea di confine da come eri prima a come sei oggi. Hai attivato tutta l’empatia e le risorse interne ed esterne che avevi che ti porteranno ad una crescita personale, che non vuol dire dimenticare l’evento traumatico, ma accettarlo nella tua vita. Niente può far dimenticare il suo corpo, il suo odore, il suo sguardo e il vostro amore. La sua presenza spirituale la porterai con te ogni giorno della tua vita.

La resilienza è la capacità che si attiva quando trovi nuove chiavi interpretative a ciò che accade e quando riesci ad attivare una nuova relazione con te stessa, fatta di accettazione ed empatia, capace di rielaborare il tuo vissuto. Nella resilienza si trova la forza di far fronte alle difficoltà della vita e al dolore utilizzando le risorse interne ed esterne che vengono in aiuto per ristabilire l’equilibrio che è stato sconvolto da eventi traumatici. Senza resilienza si corre il rischio di rimanere imprigionati in una vita piena di dolore.

Molte ricerche evidenziano che la resilienza si sviluppa fin dall’inizio della vita. Infatti, quando nasciamo, abbiamo molti neuroni, ma saranno sviluppate solo quelle aree del cervello che sono maggiormente sollecitate. Ogni esperienza crea dei circuiti che illuminano il cervello. Nei bambini trascurati si è riscontrato tramite radiografie che hanno dei buchi neri nel cervello. La cura e l’amore per i propri bambini nel tempo creano invece un percorso privilegiato di esperienza resiliente che nutre. Queste esperienze relazionali nutrienti divengono il luogo cui ritornare nei momenti di difficoltà. Se facciamo esperienza fin da bambini di un cammino fatto di comprensione per i nostri vissuti, gradualmente si formerà una parte illuminata del cervello di esperienze nutrienti resilienti cui poter attingere per tutta la vita, ogni volta che sentiremo il bisogno di ritrovare ascolto, empatia, rispetto e amore.

La resilienza è spesso legata al doppio filo della vita e della morte, della speranza o della perdita, della luce delle sinapsi neuronali o al buio. Per perdita possiamo intendere, l’evento concreto del lutto o la perdita di una parte di te stessa, di una parte della tua identità, in cui viene segnato inevitabilmente un prima e un dopo. La perdita porta sempre a interrogarti sui perché, trasforma il significato della vita e porta a vivere scroscianti emozioni che assumono diversi colori dall’incredulità alla rabbia al dolore, fino alla rielaborazione attraverso la resilienza che conduce verso nuovi equilibri, nuovi mondi interpretativi, nuovi adattamenti e una nuova crescita.

Se sei un genitore in lutto ci sono alcune cose che potrebbero aiutarti:

Concediti la vulnerabilità di poter piangere. Spesso ti troverai a piangere nei posti più imprevedibili come in strada, al supermercato o al lavoro.

Condividi il tuo dolore. Parlare con una persona che nutre la tua fiducia e poter condividere con altri genitori che hanno vissuto l’esperienza della perdita può essere di grande aiuto. Lascia che parenti e amici possano prendersi cura di te o dei tuoi familiari stretti soprattutto con qualche aiuto pratico.

Scrivi. Metti per iscritto i pensieri e i sentimenti che provi. Ascoltati con empatia e compassione.

Si paziente con te stesso. Il dolore rientrerà nella tua vita a ondate, prima saranno cavalloni in cui ti sentirai affogare e poi mari in burrasca in cui a stento riuscirai a tenere il timone o poi mari mossi e infine onde. Imparerai a riconoscere di queste onde di dolore con il passare del tempo e saprai gestirle con maggiore consapevolezza e con più amore e meno risentimento.

Celebra il tuo lutto. Trova un modo per esprimere amore a quella creatura che non hai più e a cui hai ancora tanto amore da dare. C’è chi pianta dei semi, c’è chi fa la torta del suo compleanno ogni anno, c’è chi onora quel figlio con gesti di donazione.

Rispetta il dolore del coniuge e dei figli. Ricorda che ogni membro della tua famiglia sta soffrendo in un modo diverso. A volte in un modo che tu non comprendi. Lasciati la possibilità di non sapere cosa e come e in che tempi vivrà l’altro il suo lutto.

Qualunque perdita del tuo equilibrio interno ti sprona a cercare di dare un senso a ciò che è accaduto, a donare un significato a quella esperienza che senso non sembra averne e a rimette in discussione tutta la tua vita. Il grande passaggio evolutivo lo vivrai quando riuscirai a passare dalle domande: “Perché a me ?” “Di chi è la colpa?” ad accogliere i tuoi sentimenti e i tuoi bisogni per darti la forza di attraversare il dolore, senza sfuggirlo. Le esperienze di resilienza divengono così risorsa cui attingere nei momenti in cui ne sentirai il bisogno, creano quel sentiero illuminato fatto di fiducia e di speranza. Così da riuscire a trasformare con il tempo il dolore in empatia e compassione per se stessi e per gli altri.

Giuditta Mastrototaro

 

Bibliografia:

Cheri Huber, Tu sei quello fai: inizia a vivere la vita che vuoi, Mondadori, Milano, 2014.

Holly Michelle Eckert, Liberarsi dal senso di colpa: sei passi per riappropriarsi della propria vita, Edizione Esserci, Reggio Emilia, 2011.

Marshall B. Rosenberg, Parlare Pace: quello che dici può cambiare il tuo mondo, Edizione esserci, Reggio Emilia, 2006.

Susana Roccatagliata, Un figlio non può morire, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2003